Se la celebrazione di una funzione religiosa non è prevista espressamente nell’atto costitutivo o nello statuto, è lecita?
Se la celebrazione di una funzione religiosa non è prevista espressamente nell’atto costitutivo o nello statuto, è lecita?
In questi anni di implementazione della riforma del Terzo settore, è emersa talvolta la necessità di chiarire alcuni aspetti che riguardano gli enti religiosi civilmente riconosciti e la specifica disciplina di questi soggetti nell’ambito della riforma. È il caso, come si legge in una nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ripresa da Cantiere terzo settore, del rapporto tra l’interesse generale di un ente del Terzo settore (Ets) e l’attività di culto. Se quest’ultima non è prevista espressamente nell’atto costitutivo o nello statuto, ma è svolta, comunque in maniera non prevalente rispetto alle attività istituzionali, negli ambienti dell’ente, è lecita?
Il Ministero afferma che, ad esempio, la celebrazione di una funzione religiosa in modo occasionale non determina un diverso oggetto sociale dell’Ets. Dunque, essa può essere promossa dall’ente all’interno dei locali e degli spazi dove svolge la propria attività istituzionale. Se però l’attività di culto è ricorrente e sistematica, allora deve essere verificata in base alla disciplina del Codice del Terzo settore. Questo prevede che un’organizzazione che acquisisce la qualifica di Ets deve svolgere in via esclusiva o principale le attività di interesse generale elencate, tra le quali non sono presenti quelle di culto, e, se lo statuto lo prevede, anche le attività diverse da esso disciplinate.
Il caso in cui si intenda collocare l’attività di culto tra quelle diverse, afferma il Ministero, appare problematico, data la necessaria strumentalità rispetto alle attività di interesse generale e alla luce del principio di separazione tra la sfera statale e quella religiosa. Comunque, indipendentemente da questa possibilità, qualora un locale, nel quale si trova la sede dell’ente e/o si svolgono le sue attività istituzionali, venga utilizzato in maniera sistematica e organizzata per lo svolgimento di attività di culto, non è possibile usufruire di una deroga alla normativa sulle destinazioni d’uso del Codice del Terzo settore: «le sedi degli enti del Terzo settore e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica” (art. 71).
Infine, il Ministero chiarisce che queste regole si applicano limitatamente alle attività svolte dagli Ets, non agli enti religiosi civilmente riconosciuti che si avvalgono della normativa del Terzo settore per svolgere attività istituzionali di interesse generale ed eventuali attività diverse. Infatti, per fare ciò gli enti ecclesiastici e religiosi devono costituire un ente separato con un proprio regolamento, un patrimonio destinato e scritture contabili separate (ad esempio un ramo di Terzo settore: clicca qui per saperne di più).
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