Il rapporto tra giovani e comunità cristiana sembra essersi quasi interrotto

La pandemia ha fatto emergere nuovi interrogativi nei ragazzi e per non perderli la Chiesa deve dare loro spazio.

«La sensibilità religiosa dei giovani sta subendo una profonda trasformazione: non sta scomparendo, ma sta cambiando sulla spinta della progressiva marginalizzazione del cristianesimo dalla società, i cui effetti si vedono anche nella scomparsa delle risposte della fede agli interrogativi della vita. Lo scenario italiano rimane caratterizzato da una cultura cattolica che fa da sfondo più per il mondo degli adulti, anch’esso in crisi di identità rispetto a quello dei giovani, più aperto a nuove contaminazioni culturali e religiose.»

Lo scrivono i curatori del nuovo libro Niente sarà più come prima. Giovani, pandemia e senso della vita, Paola Bignardi e don Stefano Didonè, convinti che i giovani non siano atei, ma in ricerca. Come riporta l’agenzia S.I.R., la riflessione nasce da un’indagine dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo condotta dal 12 novembre al 3 dicembre 2020 tra dieci gruppi di ragazzi distribuiti sul territorio nazionale. Per l’autrice del volume, che è la coordinatrice dell’ente, durante i lockdown e i lunghi periodi segnati dalle restrizioni la domanda sul senso della vita si è affacciata in maniera nuova nei giovani. Di fronte alle fragilità e alla prospettiva di una morte che può essere imminente, esso si è rivelato in tutta la sua preziosità e l’interrogarsi su cosa fare della propria esistenza ha indotto molti a cambiare le proprie priorità.

Ma lo spazio nella società, nella politica, nella Chiesa dove potersi esprimersi è ristretto, per cui i bisogni dei ragazzi vengono frustrati. Non basta ascoltarli, occorre dar loro la possibilità di dare il proprio contributo, cosa che tra l’altro avvantaggerebbe tutta la comunità. Gli elementi innovativi che potrebbero portare rappresenterebbero un tempo nuovo, da accogliere concretamente senza chiudersi nel “si è sempre fatto così” caro a molti adulti. Un intervistato ha detto: «La morte insegna che non c’è altro tempo. Se tu domani morirai non avrai altro tempo. Cadrà tutto quello che ti sei costruito e rimarranno solo le cose importanti veramente, il tempo passato in famiglia, quello passato ad aiutare le persone alla Caritas». Pensieri come questo dovrebbero spingere ad ascoltare maggiormente i giovani di oggi e ad affidarsi alle loro coscienze.

Il problema, afferma la ricercatrice, è che il rapporto tra i ragazzi e la comunità cristiana sembra essersi quasi definitivamente interrotto e non sarà facile riprenderlo. Per continuare a proporre il messaggio evangelico alle nuove generazioni, la Chiesa dovrebbe cambiare molte cose nel suo modo di pensare e di agire. L’ascolto dei giovani dovrebbe partire dalla consapevolezza che non li si sta comprendendo e farsi convinto e gratuito. Se si vuole cambiare la situazione, occorre essere disponibili a fare un passo verso di loro, altrimenti non si potranno cogliere le opportunità.