Per rinnovare la scuola bisogna partire dalle proprie risorse educative

La Chiesa sta sottovalutando la funzione delle scuole cattoliche nella cura della gioventù e nella trasformazione della cultura cristiana nella società?

“La Chiesa Cattolica, nell’ultimo mezzo secolo, sembra avere sottovalutato la funzione delle scuole cattoliche nella cura della gioventù e anche nella trasformazione di una cultura cristiana nella società. Le scuole cattoliche sembrano essere perite senza che si avvertano per esse particolari rimpianti nell’orizzonte cristiano. Ed è, a mio parere, un errore che pagheremo per diverse generazioni. Ma forse dovremmo iniziare subito un processo di rinnovamento, pur nella consapevolezza che esso darebbe frutto solo nei tempi lunghi. Dovremmo ritrovare quel particolare coraggio che hanno sempre avuto, nel loro tempo, i fondatori delle nostre scuole.”

Nel suo intervento “Le esigenze educative del presente” in occasione del seminario di studio “C’è ancora bisogno della scuola?” organizzato dal Centro Studi per la Scuola Cattolica della CEI, la prof. Maria Teresa Moscato, pedagogista all’Università di Bologna, non nasconde le problematicità che, secondo lei, affliggono la scuola cattolica. In un’epoca di grandi opportunità come quella odierna, occorre affrontare le esigenze educative del nostro tempo, accettando la responsabilità di interpretarle e ponendosi le domande a cui dare risposte.

Tenendo in particolare conto le esigenze educative scaturite dalle specificità dell’odierna cultura massmediatica e dalla crisi della famiglia, Moscato si chiede se la scuola come istituzione abbia la forza d’iniziativa di riproporsi, riprogettarsi e avere il coraggio di presentarsi come un soggetto educativo, oltre che didattico. E le scuole cattoliche, anche se oggi minoritarie in termini di numero e di identità, possono riaffermarsi come una comunità educativa? Per farlo, bisogna partire dalle risorse educative che esse hanno o che possono avere.

“La scuola può offrire relazioni umane significative, di ogni allievo con i suoi insegnanti, degli allievi fra di loro, dei gruppi classe con ogni singolo insegnante. […] Relazioni che chiedono fiducia e offrono fiducia a ciascun allievo; […] relazioni in cui i ragazzi incontrano degli adulti affidabili, ricavandone la speranza personale di poter diventare a propria volta adulti affidabili. […] Le relazioni di cura che gli insegnanti/educatori possono offrire, per quanto possano includere alcune componenti affettive, non sono costruite o definite dall’affettività. La cura è una forma d’amore che non esige reciprocità ed esclude qualsiasi pretesa. Il vero problema è che ci siano in numero sufficiente persone adulte di tale maturità umana disponibili a dedicarsi all’insegnamento.”

“Gli elementi tuttora deboli nel sistema scolastico italiano sono le metodologie di valutazione e soprattutto i metodi induttivo-attivi. Sono convinta che la maggioranza degli insegnanti in servizio tenda ad evitare qualunque modalità induttivo-attiva, per evitare che si scatenino dibattiti fra gli allievi, che essi non si sentono in grado di controllare. […] Solo un allievo che ha imparato ad esprimersi e comunicare può trovare la scuola più interessante di una chat. E nella comunicazione efficace gli insegnanti devono proporsi come modelli in senso proprio. Il contrasto alla dispersività, a-sistematicità, alla logica superficialmente multi-tasking che governa in questo momento lo sviluppo cognitivo ed affettivo di bambini e ragazzi, può nascere solo da un rinnovamento metodologico concreto, e su questo dovremmo poter aggiornare e formare gli insegnanti concretamente.”

Ogni insegnante deve riflettere personalmente sui contenuti che propone e sul loro valore, oltre i programmi e le indicazioni, perché l’azione didattica si attiva sempre, sul piano psicologico, dalla convinzione di essere in presenza di un soggetto «degno che gli si insegni» (l’allievo) e di un contenuto «degno di essere insegnato» (la disciplina).

Leggi qui il testo completo dell’intervento