Dopo l’occupazione dell’Isis, nei centri di questa regione dell’Iraq le comunità cristiane stanno rimettendo le proprie radici.
Dopo l’occupazione dell’Isis, nei centri di questa regione dell’Iraq le comunità cristiane stanno rimettendo le proprie radici.
Nell’estate del 2014 centinaia di migliaia di cristiani sono fuggiti da Mosul e dalla piana di Ninive a causa dell’orrore perpetrato dall’Isis. Più di due anni dopo, quando la zona viene liberata, molti decisero di tornare per provare a ricostruire una presenza cristiana vecchia di duemila anni. Di fronte a una situazione fatta di distruzioni e desolazione, non c’era molta speranza.
Ma a Ninive, con l’aiuto dell’ecumenico Comitato per la Ricostruzione, costituito dalle tre Chiese dell’Iraq (caldea cattolica, siro cattolica e siro ortodossa) con la collaborazione della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre, l’opera di ripristino e di riedificazione delle oltre tredicimila abitazioni bruciate, distrutte e danneggiate dallo Stato islamico è partito.
A Qaraqosh, dove il 35% delle case era distrutto, don Georges Jahola, sacerdote siro cattolico, ha coordinato la ricostruzione, trasformandosi come molti colleghi in ingegneri, architetti e geometri. A Missioni Consolata ha raccontato: «Dopo due anni di occupazione dello Stato islamico, al nostro rientro abbiamo trovato quattro chiese bruciate, due siro cattoliche e due siro ortodosse. Abbiamo trovato una chiesa totalmente distrutta, mentre altre erano gravemente danneggiate. Abbiamo celebrato la messa in chiese bruciate. Ora stiamo costruendo e ristrutturando edifici dove poter svolgere catechesi e altre attività pastorali».
Si stima che a Qaraqosh, nota per essere la roccaforte della cristianità nel paese, siano ritornati 25.650 cristiani, il 46% di quelli che la abitavano prima dell’occupazione dell’Isis. A Karemlesh sono rientrati il 26% dei cristiani fuggiti nel 2014, mentre a Telskuf i rientri sono stati ben 5.313, ossia il 73%, la quota più alta della zona. La priorità è quella di ristabilire le radici di una presenza cristiana, per fare in modo che anche altre famiglie decidano di tornare.
Ma se nella piana di Ninive il ritorno dei cristiani è a dir poco incoraggiante, a Mosul, seconda città dell’Iraq dove l’85 per cento delle chiese è stato distrutto, la situazione è ben diversa. Vi sono molti funzionari governativi e studenti universitari cristiani che vi si recano ogni giorno, ma nessuno ha il coraggio di viverci stabilmente. Il timore è che permangano in città cellule nascoste di jihadisti e, in ogni caso, che l’Isis possa tornare. In più, i cristiani ora faticano a fidarsi di quegli ex vicini di casa musulmani che hanno aiutato i combattenti islamisti.
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