Non possiamo stare sopra un albero senza preoccuparci dei problemi dell’umanità, disinteressati al richiamo di Gesù.
Non possiamo stare sopra un albero senza preoccuparci dei problemi dell’umanità, disinteressati al richiamo di Gesù.
Guarda che devi morire
guarda che non sai quando,
guarda che Dio ti guarda
guarda che ti sta guardando.
Versi ammonitori compaiono sopra un gruppo di gaudenti uomini e donne, intenti a gozzovigliare tra cibo e musica attorno a un banchetto. Spensierati, assisi sopra la folta chioma di un albero apparentemente solido e rigoglioso, non si preoccupano dei problemi della vita. Non si accorgono, però, che lo stesso tronco che li sta reggendo così in alto, sopra le preoccupazioni, sta per rovinare a terra.
Lo scheletro della morte ha ormai completato, con la sua falce, il taglio dell’albero e un diavoletto, piccolo ma fondamentale, è pronto ad aiutarlo a completare l’abbattimento. Grande è la figura della morte, evidenza per l’uomo perché non può non farci i conti, piccola è quella del demonio, facilmente estromettibile per comodità dai propri pensieri; ma questo è il miglior favore che gli si possa fare.
Il Male lavora costantemente e instancabilmente dietro le quinte per portare tutte le creature verso la morte ultima. Ma Cristo, scalzo, in una semplice veste che contrasta con il ricercato abbigliamento dei festaioli e con il volto estremamente preoccupato, sta per suonare una campana appesa all’albero. È l’ultimo monito a una vita che faccia progredire l’umanità, l’ultimo richiamo per far sì che i suoi rintocchi non siano quelli funebri.
“Cristo annuncia la fine imminente, avverte con lo sguardo preoccupato e premuroso quell’umanità gaudente che occorrerebbe darsi pensiero per altro: sarebbero necessarie opere più consistenti, atti che abbiano il sapore dell’eternità e che fungano da biglietto da visita nell’ultima ora.”
Commenta così suor Gloria Riva, su Avvenire, il messaggio del quadro L‘albero della vita dello spagnolo Ignacio de Ries, nella cattedrale di Santa Maria di Segovia dalla seconda metà del ‘600. L’opera raffigura un comportamento purtroppo ancora attuale: le tragedie più terribili si accompagnano alla spensieratezza con una nonchalance preoccupante. Ma la campana suonerà per tutti e rimarranno le cose fatte per salvare gli uomini, mentre tutto il resto perderà l’illusoria lucentezza.
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