Sanremo 2020: i riferimenti a Dio e alla religione nelle canzoni in gara

Un’analisi dei testi dei brani di Rancore, Levante, Michele Zarrillo, Piero Pelù e altri cantanti e della provocatoria performance di Achille Lauro.

Anche in questa edizione del Festival di Sanremo (guarda Sanremo 2019: i riferimenti a Dio e alla spiritualità nelle canzoni in gara) diverse canzoni in gara fanno riferimenti, più o meno complessi, a Dio e alla religione. Quella che, già dal titolo, vi rimanda esplicitamente è Eden, cantata dal rapper Rancore. Il testo ha come oggetto la mela quale simbolo di tante cose: New York, Isaac Newton, Paride e molto altro. Sembra che la storia abbia fatto tornare di continuo questo frutto, a partire dal giardino perduto della Genesi a cui si riferisce il ritornello del brano, che rimanda all’importanza delle nostre scelte:

«Come l’Eden, prima del “ta ta ta”
Come prima quando tutto era unito
Mentre ora cammino in questo mondo proibito
Come l’Eden […]
Quando il cielo era infinito
Quando c’era la festa e non serviva l’invito […]
Se ogni scelta crea ciò che siamo
Che faremo della mela attaccata al ramo?»

Levante, con la sua Tikibombom, compone un inno a chi si sente diverso e indifeso perché non segue il branco, non si conforma ai luoghi comuni, non segue le opinioni non richieste delle persone, che vengono definite «anime senza sogni pronte a portarti con sé» e «figli di un Dio minore pronti a colpirci». Per il cattolicesimo, certo, nessuno può essere considerato “figlio di un Dio minore”: qui viene espressa la rabbia terrena contro chi non fa sua quella misericordia che Lui ha con noi. La cantante continua parlando di chi viene bullizzato a causa della propria omosessualità, con una critica diretta a chi, all’interno della Chiesa, potrebbe dirgli «Fatti il segno della croce e poi rinuncia a Mefisto»: la condanna è al tentativo di far nascere inutili sensi di colpa. Verso la fine della canzone, tratteggia la figura di chi si sente emarginato dalla società con toccanti similitudini anche religiose, che descrivono fragilità e bellezza:

«Noi siamo angeli rotti a metà
Siamo chiese aperte a tarda sera, siamo noi. […]
Siamo l’amen di una preghiera, siamo noi.»

Il veterano Michele Zarrillo propone Nell’estasi o nel fango, brano poetico che esorta al coraggio di avere maggiore consapevolezza del bene, per non perdersi in un mondo dove c’è poca umanità. Il verso «C’è chi prega e c’è chi mente» esprime bene questa attitudine: solo lasciando che il proprio pensiero vada verso l’infinito si può giungere alla verità. Con Gigante, Piero Pelù rivolge a suo nipote parole ottimistiche per fargli capire che nella vita può essere chi vuole. «Tu sei il mio Gesù, la luce sul nulla, un piccolo Buddha»: così lo descrive, paragonandolo ecumenicamente a due fondamentali figure storiche delle religioni. Il cantante, però, lo fa non per esaltarlo, ma per ricordargli che pensare in grande gli permetterà di sentirsi gigante, nella consapevolezza comunque che potrebbe essere re di tutto e di niente.

Altri riferimenti si trovano in Finalmente io di Irene Grandi («Ma quando canto… sto da Dio»), che racconta la sua vita dedicata alla musica; in Ho amato tutto di Tosca, che, parlando a un ex amore, dice: «Tu sei l’unica messa a cui io sono andata», rivelando l’importanza spirituale di una relazione umana, anche se finita; in Sincero, dove Bugo e Morgan svelano l’ipocrisia e la falsità di vivere secondo regole sociali che ci si sente obbligati a rispettare: il verso «Trovati un bar che sarà la tua chiesa» descrive la situazione di coloro che vedono nell’alcol una squallida fede.

In questo LXX Festival di Sanremo, però, il riferimento alla religione più clamoroso è la performance di Achille Lauro. Il testo di Me ne frego, canzone su una affascinante ma complicata relazione amorosa, non ha rimandi in questo senso (c’è solo un’invocazione, «O mio Dio», perché il protagonista è indeciso su come comportarsi). È sul palco e sui social network che bisogna rivolgere l’attenzione. Martedì sera il cantante si è presentato all’Ariston avvolto in una cappa di lussuoso velluto nero, che lasciava intravedere solo i piedi nudi. Dopo i primi versi, a un cambio di ritmo del brano, se l’è tolta rimanendo in una tutina luccicante e aderente color carne.

Il motivo? Eccolo spiegato in un post su Instagram: «San Francesco. La celebre scena attribuita a Giotto in una delle storie di San Francesco della basilica superiore di Assisi. Il momento più rivoluzionario della sua storia in cui il Santo si è spogliato dei propri abiti e di ogni bene materiale per votare la sua vita alla religione e alla solidarietà». Le immagini che accompagnano il post vedono l’una Lauro in questi abiti provocatori davanti allo sfondo boscoso del dipinto giottesco della Predica agli uccelli, l’altra l’affresco completo della Rinuncia ai beni. Un messaggio sublime, lanciato da un cantante seguito da molti giovani, che non si capisce come possa essere recepito attraverso un’operazione mediatica così confusionaria.

Luca Frildini