Santa Teresa di Lisieux nel 150° dalla nascita e 100° dalla beatificazione: il primato della grazia/gratuità e della fede/fiducia sulla meritocrazia spirituale.
Santa Teresa di Lisieux nel 150° dalla nascita e 100° dalla beatificazione: il primato della grazia/gratuità e della fede/fiducia sulla meritocrazia spirituale.
Nell’incontro precedente ci siamo accostati all’itinerario di ricerca del Volto nascosto di Gesù nel vissuto di Teresa di Lisieux. A questo Volto ella si sentì chiamata ad assomigliare, desiderando che anche il suo volto fosse nascosto in quello di Gesù, vale a dire che fosse dimenticata, ignorata e considerata un nulla (cf. MA 200; L 87; 103; 145). E avviandosi al termine della sua esistenza, vivendo in senso sponsale la sua “notte della fede” e la sua “discesa agli inferi”, accettò di assomigliare al Volto del suo Sposo Gesù che sedeva alla tavola dei peccatori (cf. MC 277; 279). Ebbene, percorrendo questo itinerario, Teresa gradualmente viene a scoprire e ad interiorizzare quella che lei chiama «una piccola via tutta nuova» (MC 271), una via che – sostenuta da Gesù e dal dono del Suo amore – la conduca verso la santità vera che è Dio stesso (cf. Pr 6). Seguiamo, allora, la sua scoperta.
1. La via della fiducia e dell’abbandono in Dio che è Padre e Madre (1891-1896)
a) L’abbandono confidente
Teresa è inquieta per aver ascoltato da molti predicatori che è facile peccare contro Dio. Da qui in lei l’ansia e gli scrupoli: ogni gesto, comportamento e parola potevano essere considerati, al di là delle proprie intenzioni, un peccato mortale contro Dio e quindi un ostacolo al cammino di santità (cf. L 114). Un anno dopo la sua professione, durante il ritiro dell’ottobre 1891, confessandosi con il francescano padre Alexis Prou, il quale aveva predicato gli esercizi spirituali alla comunità, Teresa fu liberata alle ansie e dagli scrupoli e incoraggiata a camminare sulla via della fiducia in Dio e del suo amore gratuito (cf. MA 227). In realtà, la prospettiva della fiducia in Dio e dell’amore stava già attirando la sua attenzione. Ma adesso, rafforzata dall’incoraggiamento di p. Prou, ella si impegna con più entusiasmo a meditare in particolare le lettere di Paolo: 1-2Corinzi, Filippesi e Romani. Man mano che leggeva e meditava, andava maturando in sé la convinzione che le sue debolezze e fragilità non dovevano essere motivo di vergogna o di rinuncia. Anzi, proprio le sue debolezze, fragilità e incapacità potevano essere il kairòs, l’occasione propizia per fare l’esperienza dell’efficacia spirituale dell’abbandono confidente all’amore di Cristo Gesù.
Così scrive alla sorella Celina nella Lettera 142 del 1893: «La tua Teresa non si trova nelle altezze in questo momento, ma Gesù le insegna “a trarre profitto da tutto, dal bene e dal male che trova in sé”. Egli le insegna a giocare alla banca dell’amore; ma no, piuttosto è Lui che gioca per lei, senza dirle come fa, poiché questo è affar suo e non di Teresa; ciò che riguarda lei è di abbandonarsi, donarsi senza riservarsi nulla, neppure la soddisfazione di sapere quanto la banca le renda. […] il mio direttore, che è Gesù, non mi insegna a contare i mei atti: Egli m’insegna a fare tutto per amore, a non rifiutargli nulla, a essere contenta quando mi dona l’occasione di provargli che l’amo; ma questo avviene nella pace, nell’abbandono. È Gesù che fa tutto e io non faccio nulla».
Nel settembre 1894, dopo la morte del papà, anche la sorella Celina entra nel monastero di Lisieux. Ella porta con sé un quaderno dove sono trascritti alcuni brani dell’AT, riguardanti i libri del Qohelet, della Sapienza, dei Proverbi, del Siracide e in particolare del Cantico dei Cantici; poi anche brani dei profeti Isaia, Ezechiele, Osea, Abacuc, Sofonia ed altri. Teresa li legge e li medita con attenzione. In particolare si sofferma su Prov 9,1-6 e su Is 66,12-13 (cf. MB 242-243; MC 271-272; L 196). Teresa legge e medita Pr 9,1-6, dove la Sapienza invita al banchetto; ma polarizza la sua attenzione su Prov 9,4, dove è scritto: «Se qualcuno è molto piccolo, venga a me». Teresa legge la traduzione del latino della Vulgata: «Si quis est parvulus, veniat ad me». Qui ella è attratta dalla parola “piccolo” (parvulus), che le rievoca i passi evangelici dove Gesù esorta a diventare come bambini (cf. Mt 18,1-4), cioè piccoli, umili, poveri in spirito. È ciò che lei, già prima dell’arrivo al Carmelo di Celina, ha cominciato ad assumere come stile di vita. Infatti le lettere inviate dal Carmelo a Celina, che ricoprono l’arco di tempo tra il mese di luglio 1893 e il mese di luglio 1894, sono un’ampia meditazione sul senso della povertà spirituale e della propria esperienza di debolezza e fragilità. Ella vuole realizzare ciò che Gesù le sta facendo comprendere: diventare piccoli, semplici, umili, perché il merito non consiste nel fare, ma nel ricevere e nell’amare molto, e nell’abbandonarsi a Lui, lasciando che sia Lui a riaccendere in noi il fuoco dell’amore.
Ora l’attenzione di Teresa si volge sulla pagina biblica di Isaia 66,12-13. Qui Dio viene descritto come una madre che consola i figli piccoli, portandoli sulle sue braccia. È per Teresa il testo biblico che sta alla base della sua riscoperta del Volto di Dio come Padre e come Madre, di Dio che nella sua misericordia si abbassa sui piccoli – proprio a motivo del fatto che sono piccoli, deboli e fragili – e li prende tra le sue braccia (cf. L 130; 149). Da qui l’attenzione di Teresa non può non volgersi sul cap. 2 della lettera ai Filippesi che parla dell’abbassamento del Figlio Gesù (cf. MA 6; MB 255-263; MC 336). E così, la contemplazione del mistero dell’incarnazione, della discesa-abbassamento di Dio nel Figlio che per amore si dona gratuitamente all’umanità, inizia a diventare centrale nel cammino spirituale della nostra sorella nel Carmelo. Lei inizia a comprendere che abbassandosi Dio si mostra misericordioso e dona gratuitamente la salvezza. Ed è anche così che Gesù abbassandosi si mostra mendicante di amore.
b) Il primato della grazia/gratuità sulla meritocrazia spirituale
La scoperta della misericordia di Dio, chiave fondamentale per la sua comprensione di Dio (cf. MA 1; 9; 11-12…), gradualmente fa crescere in Teresa la consapevolezza che non occorre essere grandi o essere eroi nell’ascesi, in penitenze e sofferenze cercate e desiderate a tutti i costi, per diventare santi, ma, al contrario, è necessario scoprire la propria piccolezza, la propria fragilità creaturale, i propri limiti, connaturali ad ogni essere umano, perché solo stando davanti a Dio a mani vuote, senza meriti da rivendicare, si ha la capacità – opera della grazia di Dio – di riscoprire la vera identità di ogni persona umana: essere figlio/figlia di Dio e povertà amata e salvata dall’amore gratuito di Dio, che è Padre e Madre (cf. MB 260-262; MB 243). La sintesi di quanto Teresa fin qui ha scoperto come la sua «piccola via tutta nuova» la si trova nel suo Atto di offerta del 9 giugno 1895 (cf. Pr 6), nel Manoscritto B (composto nel 1896), considerato il manifesta della “piccola via”, e nella Lettera 197 del 17 settembre 1896.
c) La comprensione della giustizia di Dio
A partire dalla Pasqua del 1896 Teresa, come già sappiamo, con le prime emottisi della tubercolosi, entra nella “notte della fede” e in questa condizione rimarrà fino alla morte. Tuttavia ella, sostenuta dalla fede e dalla speranza, ha la forza di prosegue nella maturazione del suo itinerario spirituale. Spesso, forse già a partire dalla malattia del papà, Teresa si è posta varie domande sul ruolo che ha Dio nel cammino della santità di un cristiano. Possiamo riassumerle così (tenendo conto che sono anche le nostre domande): in che senso Dio è giusto? Come intendere la giustizia di Dio? Il cammino della vita cristiana, e quindi anche della vita al Carmelo, è una montagna vertiginosa da scalare, pagando il prezzo delle umiliazioni per il gusto di annientare la creatura umana? È attraverso l’umiliazione frequente, l’umiliazione cercata, desiderata e offerta a Dio, che si arriva alla santità? Già nel 1894, mettendo in scena una rappresentazione del Natale, Teresa fa dire così a Gesù, rivolto all’angelo del giudizio finale che voleva pesare i peccati delle creature umane,
«O bell’angelo, la spada abbassa!
Non sei tu che giudicare devi
quella natura che io risollevo
ed ho deciso di riscattare.
Solo io, Gesù chiamato,
il mondo intero giudicherò.
Rugiada feconda, il sangue mio.
tutti puri renderà gli eletti» (PR 2,18-19).
Qui Teresa mette in evidenza che colui che giudica è il Cristo (cf. Gv 5,22). Il suo giudizio avviene nella sua Passione vissuta per amore del mondo e dell’umanità sprofondata nel fallimento esistenziale. Ci ricorda infatti l’apostolo Paolo: mentre noi eravamo peccatori, Cristo è morto per noi, riconciliandoci con il Padre (cf. Rm 5,6-10). Questo vuol dire che in Cristo siamo giustificati/salvati per grazia, cioè gratuitamente (cf. Rm 3,24) e non per i meriti delle nostre opere (cf. anche Ef 2,1-10). Nella Lettera 197 alla sorella sr. Maria del S. Cuore, scrive che «sono le ricchezze spirituali che rendono ingiusti quando ci si riposa in esse con compiacenza e si crede che siano qualcosa di grande». Ciò che piace al Signore è di vederci amare da Lui la nostra piccolezza, la nostra povertà creaturale, e nello stesso tempo di coltivare la cieca speranza nella Sua misericordia infinita.
Questo è il tesoro prezioso che Teresa vuole custodire e vuole consegnare alla sorella: «più si è deboli, senza desideri né virtù, più si è adatti alle operazioni di questo Amore che consuma e trasforma». In questa sapienza divina paradossale del “chi perde, guadagna”, si comprende quanto Teresa scrive in MB 255: «Un tempo le ostie pure e senza macchie erano le sole gradite al Dio Forte e Potente. Per soddisfare la Giustizia divina occorrevano vittime perfette, ma alla legge del timore è succeduta la legge dell’Amore; e l’Amore ha scelto per olocausto me, debole e imperfetta creatura. Questa scelta non è degna dell’Amore?… Sì: perché l’Amore sia pienamente soddisfatto, bisogni che si abbassi, che si abbassi fino al niente, che trasformi in fuoco questo niente». La giustizia di Dio consiste nell’amare la nostra piccolezza, perché egli ci salva per grazia, vale a dire gratuitamente.
Al p. Adolfo Roulland nella Lettera 226 (maggio 1897), scriveva, affermando che per Dio essere giusto non vuol dire soltanto esercitare la severità per punire i colpevoli, ma vuol dire anche riconoscere le rette intenzioni e ricompensare le virtù. Teresa spera sia nella giustizia di Dio che nella Sua misericordia. Infatti in Dio stanno insieme giustizia e misericordia, perché Dio è Amore e ama i piccoli, ama coloro che non si sentono grandi, che non hanno nulla da presentare a Lui, ama coloro che si presentono a Lui e agli uomini a mani vuote, perché si sono lasciati trasformare e arricchire dal suo Amore. E il suo Amore è un Amore paterno-materno, che nel Figlio si abbassa fino a noi, per sollevarci verso di Lui, come un ascensore (cf. MC 271). Questa è la piccola via verso la santità cristiana che Teresa ha riscoperto e che propone a noi oggi.
2. L’esperienza di Dio gratuità
Vorrei focalizzare meglio in Teresa di Lisieux l’esperienza della Grazia di Dio in Gesù Cristo come esperienza di Dio gratuità, di Dio che è dono gratuito, amore gratuito. Questo è un tema che oggi ci interpella in quanto persone umane e cristiane.
Teresa, pochi mesi prima di morire, e precisamente il 5 giugno 1897, dirà: «Tutto è grazia» (QG 5,6,4). Questa espressione sembra fare da inclusione a tutta la sua breve vita nel Carmelo e nel contempo riassume tutto il suo percorso esistenziale umano e di fede, riletto ora, da persona adulta e matura, alla luce di quel cammino di fede intrapreso dopo alcuni mesi dal suo ingresso nel Carmelo. E infatti, iniziando a scrivere nel gennaio del 1895 la storia della sua anima, apre il suo scritto affermando che non intende parlare di sé, mettendo al centro se stessa, ma piuttosto mostrare come la Grazia-Gratuità di Dio ha operato in lei, come l’ha condotta nella valle oscura dell’esistenza (cita il Sal 23). Perciò ora ci accinge a cantare le Misericordie (cita il Sal 103) che Dio ha compiuto nella sua vita (cf. MA 8-9). La sua storia di un’anima (Ms A, B, C) è infatti una rilettura teologica della sua vita (Conrad De Meester); possiamo dire anche, è una narrazione dossologica dell’azione trasformante in lei della Grazia di Dio che in Gesù Cristo si rivela come presenza relazionale di Gratuità.
Per comunicare la sua esperienza del Dio di Gesù Cristo, che è presenza di grazia/gratuità, Teresa mette in atto la sua potente immaginazione creativa, ricorrendo a tre immagini simboliche:
– le “mani vuote”. Ella si pone davanti a Dio stando a mani vuote, cioè senza portare a Lui le sue azioni eroiche, le sue opere, senza vantare meriti, ma accogliendo Colui che ama gratuitamente la sua vita e l’accetta così com’è: piccola, povera e fragile. Lo stare a mani vuote è proprio del mendicante che chiede (cf. L 99); e Teresa vuol stare davanti a Dio chiedendo che sia Lui a riempire le sue mani, donando gratuitamente la sua Giustizia e il suo Amore (cf. Pr 6: Atto di offerta), cioè il suo Figlio Gesù, affinché a sua volta Teresa possa donarlo agli altri gratuitamente e con tutto se stessa;
– l’ascensore. Già nel 1880 in Francia la Siemens aveva costruito i primi ascensori. Con la sua immaginazione creativa Teresa nel 1897 – leggendo e meditando le pagine bibliche di Prov 9,4 («se qualcuno si fa piccolo, venga a me…»); Is 66,13.12 (Dio Madre che solleva i piccoli con le sue braccia) MC 271-272) – raffigura Gesù come un Ascensore, il quale manifesta il suo amore gratuito verso le creature fragili e deboli, abbassandosi al loro livello per innalzarli e condurli a Dio Padre (cf. MC 271-272; anche L 229; 258). Il cammino della santità cristiana non è scalare le montagne, non è fare gesti eroici, ma lasciarsi condurre da Gesù, lasciarsi innalzare da Lui, perché la santità è cammino di sequela dietro a Gesù e con Gesù, nostro amico e compagno di viaggio;
– la rosa sfogliata. Il 19 maggio del 1897, alcuni mesi prima di morire, Teresa compone la poesia Una rosa sfogliata (cf. P 51; vedi anche P 34,3; 58; QG 9,6,3), che riassume la sua concezione della vita: la vita umana e cristiana è chiamata al dono gratuito di sé, un dono a perdere, proprio come una rosa che, nel pieno vigore della sua freschezza, dona i suoi petali. Perché in realtà quella rosa sfogliata è l’immagine di Gesù che gratuitamente si dona a perdere e, di conseguenza, è anche l’immagine del cristiano che a sua volta fa della sua vita un dono gratuito a Dio e ai fratelli e sorelle in umanità e nella fede: «la rosa sfogliata la si getta al vento / semplicemente; una rosa sfogliata si dona incurante, / per non più esistere».
Anche a noi oggi Teresa ci ricorda che il senso vero della vita umana e cristiana risiede nel fare della nostra esistenza un dono gratuito a Dio e ai fratelli. Perché il Dio di Gesù Cristo è grazia e quindi è gratuità di cui noi facciamo esperienza nell’eucaristia domenicale e feriale. Se il dono che noi offriamo agli altri (e vari e molteplici sono oggi le forme di dono), è veramente gratuito, e non segue interessi utilitaristici di vario genere, allora diventa esperienza di relazione, favorisce e consolida legami sociali e legami di comunione ecclesiale. Altrimenti è un dono avvelenato. E ancora, il dono, se è veramente gratuito, favorisce l’umanizzazione della vita, perché la libera da tutto ciò che tende a ridurre le relazioni ad una sorta di contratto commerciale, di scambio di interessi, da tutto ciò che tende a ridurre le relazioni ad un doverismo che si gioca nella logica del do ut des, del dare-avere per instaurare alleanze e favori da ricambiare…
Con Teresa di Lisieux, noi cristiani vogliamo ricordare a noi stessi che in questo mondo e nelle nostre comunità ecclesiali – dove spesso tutto è ridotto a scambio commerciale, compreso i sacramenti… – ci vogliamo stare affermando il primato della grazia e camminando sulla via della gratuità, perché siamo chiamati a fare della nostra vita una rosa sfogliata, un dono slegato da interessi utilitaristici ed economici, un dono a perdere perché gli altri possano vivere una esistenza umana degna di questo nome. Sì, vogliamo fare della nostra vita un dono, ma farlo al modo del servo inutile del vangelo (cf. Lc 17,10), cioè di colui che non cerca l’utile per sé, perché è chiamato a servire il Signore e gli altri gratuitamente, e ha imparato a conoscere Dio, il quale ama chi dona con gioia e fa abbondare in lui ogni grazia (cf. 2Cor 9,7-8).
fr. Egidio Palumbo
Mercoledì della spiritualità 2023 della Fraternità Carmelitana di Barcellona Pozzo di Gotto
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