Un’analisi del Vangelo di Marco fa emergere tutti i gesti e le parole antipatriarcali per cui Cristo ha optato nella sua vita terrena.
Un’analisi del Vangelo di Marco fa emergere tutti i gesti e le parole antipatriarcali per cui Cristo ha optato nella sua vita terrena.
Le scelte e le parole di Gesù hanno corroso le fondamenta della società patriarcale del primo secolo, mostrando a tutte le persone, uomini e donne, sentieri di una liberazione sempre possibile verso il sogno di felicità che Dio ha per ciascun individuo. Lo pensa Annamaria Corallo, teologa biblista e docente di Introduzione al Nuovo Testamento presso la Pontificia Università Gregoriana, come si legge su SettimanaNews. Seguendo il Vangelo di Marco e le figure da esso offerte «come modelli di libertà interiore e apertura alla logica del regno di Dio», la studiosa ha individuato le proposte antipatriarcali in termini di superamento delle aspettative sociali, familiari e genitoriali, dei rigidi ruoli e modelli di genere, del matrimonio dai ruoli fissi, intendendo il patriarcato come il «sistema di dominazione permanente e strutturale da parte dell’uomo, in quanto maschio, su donne, bambini, bambine e – in generale – i vulnerabili della società».
Ad esempio, la figura di Giovanni il Battista, che ha il compito di preparare l’ingresso di Gesù nel racconto evangelico, è una persona appartenente a una stirpe sacerdotale, ma senza casa e privo di legami familiari. Egli non è interessato a sposarsi e ad avere una discendenza, contrapponendosi al sistema religioso e sociale del suo tempo fondato su tre pilastri: patria, famiglia e Dio. È proprio in risposta a un appello divino che lui compie questa scelta di vita, dice l’evangelista. Facendosi battezzare dal Battista, Cristo dimostra di riconoscere la sua autorità morale, spirituale e religiosa. Lo stesso Gesù chiama a seguirlo Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni, i quali si distaccano così dalle loro appartenenze familiari e sociali, alla base della cultura patriarcale. Perdipiù, Egli porta nel suo seguito sia uomini che donne, scelta impensabile per l’epoca visto che il mondo femminile era escluso dalle scuole dei maestri.
Il Vangelo apre così a logiche di discontinuità liberante e a nuove prospettive relazionali. Quello che conta non è la sopravvivenza del patrimonio etnico-familiare, ma la sopravvivenza del patrimonio spirituale e affettivo, in cui l’oggetto di onore non è un inesistente dio tribale, ma «la vita che sgorga dal cuore del Dio vivente». Certamente è importante onorare il padre e la madre, in continuità con l’onore dovuto al Padre, però questo non significa obbedire a loro in maniera acritica e in ossequio ai ruoli patriarcali prefissati, bensì curare una dimensione relazionale di tutela della vita altrui che dev’essere vicendevole. Afferma Corallo: «Noi non siamo nati per assecondare le aspettative di nessuno. Neanche quelle di Dio. Perché Dio su di noi non ha aspettative, ma solo sogni. Il sogno è un orizzonte di realizzazione nel quale si può crescere investendo tutta la propria fantasia, volontà e tenacia. Il sogno di Dio è la nostra completa umanizzazione, da compiere coltivando relazioni capaci di farci essere tutto quello che possiamo essere».
Sempre nel racconto di Marco, si legge che un uomo era posseduto da una moltitudine di spiriti impuri e costretto a vivere emarginato tra i sepolcri, dove praticava continui atti di autolesionismo probabilmente per cercare di cancellare quello che non accettava di sé. Gesù gli si rivolge chiedendogli il nome, riconoscendolo come persona. In un altro passo, si narra la guarigione da parte di Cristo della donna emorroissa, che da ben dodici anni soffriva di mestruazioni irregolari e ravvicinate. Con questo gesto, Egli la fa uscire dalla vergogna di sentirsi inadeguata e dall’anonimato dal quale una società ossessionata dall’impurità l’aveva relegata. I condizionamenti posti dalle regole patriarcali nei confronti dei ruoli dominati, sia maschili che femminili, vengono scardinati per prospettare vie di libertà e dignità. Pure la risposta data da Gesù a chi gli chiede se sia lecito ripudiare la moglie è in contrasto con un certo modo androcentrico di intendere il matrimonio, dove si pensa alla donna come una figura sottomessa e mero strumento di procreazione. «Nessuno e nessuna può essere ridotto a un ingranaggio nel sistema sociale e familiare. Neanche per finalità religiose. Ciascuna e ciascuno è invece dotato di una dignità propria che merita rispetto e tutela».
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