I reperti rinvenuti negli scavi nel deserto egiziano raccontano che la prima vita monastica non era necessariamente spartana.
I reperti rinvenuti negli scavi nel deserto egiziano raccontano che la prima vita monastica non era necessariamente spartana.
Nell’oasi di al-Bahariya a Tell Ganoub Qasr al-Aguz, quasi quattrocento chilometri a sud-ovest del Cairo, alcuni edifici scavati nella roccia basaltica e altri di mattoni sono recentemente emersi dalle sabbie egiziane. Il ritrovamento di monete, ceramiche e vetri e la datazione al carbonio dei manufatti ritrovati ha permesso di datare il sito al 350 d.C. In un Paese dove le testimonianze del passato sono innumerevoli e millenarie, la notizia non dovrebbe destare tanta sorpresa. Invece, ciò che ha reso stupefacente questa scoperta è che i resti appartenevano a un monastero cristiano, probabilmente il più antico archeologicamente attestato in tutto il mondo.
Come racconta Terrasanta, la missione archeologica, frutto di una collaborazione tra l’Istituto francese di archeologia orientale e la Scuola norvegese di teologia, religione e società che sta portando avanti gli scavi dal 2009, ha individuato le celle dei monaci e tre chiese, grazie anche al rinvenimento di iscrizioni murali in greco. Così, si è potuto sapere che solo pochi decenni dopo l’editto di Milano promulgato nel 313 dall’imperatore Costantino, grazie al quale i cristiani ebbero libertà di culto, ai margini dell’Impero Romano sono sorte comunità monastiche ben consolidate.
Il monastero, a qualche chilometro dai siti archeologici d’epoca romana più vicini, sorgeva un po’ isolato, a conferma della scelta di vita anacoretica dei monaci. Fu da loro abitato probabilmente dal IV al VI secolo, ovvero fino a poco prima che l’Egitto non facesse più parte dell’Impero Romano d’Oriente. Tracce di un’occupazione successiva, tra il VII e l’VIII secolo, fanno pensare a un riutilizzo per uso pastorale. La disposizione degli edifici in ciascuno dei sei settori del sito indica che il complesso monastico funzionava come un insediamento semi-indipendente, composto da blocchi di spazi abitativi per i religiosi. Solitamente, essi vivevano da eremiti durante la settimana, per ritrovarsi solo il sabato sera, la domenica e nelle festività per cantare le preghiere liturgiche e consumare insieme i pasti.
Le scritte sui muri ritrovate, che contengono citazioni del monaco Evagrio Pontico (345-399) – il quale, vivendo nel deserto egiziano, fu il primo a codificare il pensiero ascetico cristiano – e del teologo e poeta Efrem il Siro (306-373), forniscono dettagli della vita monastica dell’epoca. Uno degli ostraca rinvenuti (frammenti di ceramica con iscrizioni in greco) è una lettera indirizzata all’abate, dove si legge che un religioso della comunità era in viaggio di studio addirittura a Costantinopoli: il monastero era collegato con il mondo bizantino. Inoltre, i costosi oggetti in vetro provenienti delle odierne Tunisia e Algeria, la produzione e la conservazione del vino e l’allevamento di bestiame dimostrano che i monaci non conducevano una vita spartana.
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