Sinodo sulla sinodalità, ecco la relazione di sintesi

“Una Chiesa sinodale in missione” indica le convergenze, le questioni da affrontare e le proposte della prima sessione dell’assemblea.

È terminata ieri la prima sessione dell’assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi che ha continuato il processo sinodale aperto il 9 ottobre 2021. Dopo le tappe diocesane, nazionali e continentali e in vista della seconda sessione dell’assemblea che si terrà a ottobre dell’anno prossimo, sabato è stata diffusa l’attesa relazione di sintesi dei lavori che sono stati portati avanti in questo mese da vescovi, diaconi e presbiteri, consacrate e consacrati, laiche e laici, testimoni di un processo che intende coinvolgere tutta la Chiesa. Il documento, intitolato Una Chiesa sinodale in missione, raccoglie gli elementi principali emersi nel dialogo, nella preghiera e nel confronto, secondo uno stile, quello della sinodalità, che si sta cercando di imparare.

I lavori si sono svolti seguendo la traccia offerta dall’Instrumentum laboris, identificando e rilanciando le questioni ritenute prioritarie e i temi bisognosi di approfondimento. Questa relazione, infatti, è uno strumento al servizio del discernimento che dovrà essere fatto conseguentemente. Essa è strutturata in tre parti: “Il volto della Chiesa sinodale”, sui principi teologici che illuminano e fondano la sinodalità; “Tutti discepoli, tutti missionari”, riguardante coloro che sono coinvolti nella vita e nella missione della Chiesa; “Tessere legami, costruire comunità”, sulla sinodalità come insieme di processi e rete di organismi che consentono lo scambio tra le Chiese e il dialogo con il mondo.

Venti capitoli sono suddivisi in queste tre parti e ognuno di essi raccoglie: le convergenze, ovvero i punti fermi a cui la riflessione può guardare; le questioni da affrontare, quindi ciò che necessita di ulteriore approfondimento teologico, pastorale, canonico; le proposte, possibili piste da percorrere suggerite, raccomandate o richieste con determinazione. I duecentosettantatre punti sono stati approvati a larghissima maggioranza dall’assemblea sinodale, con consensi quasi sempre ben oltre il novanta percento. Tra i tanti argomenti toccati ci sono la sinodalità («La ricchezza e la profondità dell’esperienza vissuta conducono a indicare come prioritario l’allargamento del numero delle persone coinvolte nei cammini sinodali»), l’iniziazione cristiana («rendere il linguaggio liturgico più accessibile ai fedeli e più incarnato nella diversità delle culture»), il ruolo dei laici («I carismi dei laici, nella loro varietà, sono doni dello Spirito Santo alla Chiesa che devono essere fatti emergere, riconosciuti e valorizzati a pieno titolo»).

I numeri delle votazioni mostrano qualche contrapposizione sui temi dell’accesso delle donne al diaconato e del celibato obbligatorio dei preti, dove comunque i sì ad alcuni punti sono arrivati almeno all’ottanta percento. Nel capitolo “Le donne nella vita e nella missione della Chiesa”, una questione non pienamente accettata riguarda le «posizioni diverse in merito all’accesso delle donne al ministero diaconale», in quanto c’è chi lo vede «inaccettabile in quanto in discontinuità con la Tradizione», mentre per altri «ripristinerebbe una pratica della Chiesa delle origini». Certi discernono in esso «una risposta appropriata e necessaria ai segni dei tempi», alcuni esprimono «il timore che questa richiesta sia espressione di una pericolosa confusione antropologica». Tra le proposte, si è manifestata una minoritaria contrarietà a proseguire «la ricerca teologica e pastorale sull’accesso delle donne al diaconato, giovandosi dei risultati delle commissioni appositamente istituite dal Santo Padre e delle ricerche teologiche, storiche ed esegetiche già effettuate».

Nel capitolo “Diaconi e presbiteri in una Chiesa sinodale”, una questione da affrontare non approvata ad ampia maggioranza è stata quella del celibato dei presbiteri: «Tutti ne apprezzano il valore carico di profezia e la testimonianza di conformazione a Cristo; alcuni chiedono se la sua convenienza teologica con il ministero presbiterale debba necessariamente tradursi nella Chiesa latina in un obbligo disciplinare, soprattutto dove i contesti ecclesiali e culturali lo rendono più difficile». Poi, la proposta di valutare «caso per caso e a seconda dei contesti, l’opportunità di inserire presbiteri che hanno lasciato il ministero in un servizio pastorale che valorizzi la loro formazione e la loro esperienza» non è stata pienamente accolta.

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