Un sito web monitora le scuole paritarie che stanno chiudendo

#noisiamoinvisibili è lo slogan scelto per questa campagna nata dalle difficoltà dell’emergenza sanitaria e della scarsa tutela dello Stato.

Il sito internet www.noisiamoinvisibili.it si apre con un messaggio: “Noi siamo scuole ma #noisiamoinvisibili”. È lo slogan scelto per questa campagna per la libertà di scelta educativa, che ha l’obiettivo di raccogliere i nomi delle scuole paritarie che sono state chiuse a causa dell’emergenza sanitaria e della scarsa tutela da parte dello Stato, nonostante facciano parte del sistema nazionale di istruzione. Promotrice dell’iniziativa è suor Anna Monia Alfieri, religiosa delle Marcelline che fa parte della Consulta per la Pastorale Scolastica e del Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica della CEI.

Al momento, sono registrate sessantasei chiusure, che coinvolgono 2.941 studenti, ma stanno arrivando altre dichiarazioni di scuole paritarie che hanno il pensiero di concludere forzatamente la propria attività educativa. E il clima di incertezza causato dal fatto che non si sa quando e come ripartirà il nuovo anno scolastico contribuisce a questo problema. Anche perché i ragazzi dovranno essere trasferiti in istituti statali, cosa che costerà allo Stato venticinque milioni di euro, considerando che la spesa annuale per ciascun studente è di 8.500 euro (contro i 500 riservati agli studenti delle paritarie).

Le scuole paritarie chiuse – soprattutto dell’infanzia, ma anche nidi, primarie, secondarie di primo e secondo grado, come licei classici e scientifici – sono localizzate prevalentemente in Lombardia (circa il 36% dei casi), Piemonte, Sicilia, Campania, Puglia e Abruzzo. Ad Avvenire, suor Anna Monia, che sul sito indica che “la chiusura degli istituti paritari significa il collasso anche della scuola statale, un danno enorme per il tessuto sociale e un aggravio economico pesante per il bilancio dello stato”, fa un appello: «Le famiglie non riescono più a pagare le rette e le scuole non possono ulteriormente indebitarsi. Basterebbe un cenno del governo, un minimo segnale di apertura, per dar loro la forza di andare avanti».