Un’Europa come la Contea del romanzo “Il signore degli anelli”, chiusa e con le barriere ai confini, è destinata a esaurirsi.
Un’Europa come la Contea del romanzo “Il signore degli anelli”, chiusa e con le barriere ai confini, è destinata a esaurirsi.
“Un’Europa come la Contea della Terra di Mezzo, chiusa e con le barriere ai confini, è destinata ad esaurirsi. Se non si fa entrare nessuno e non si vuole uscire, allora si muore. […] Alcuni hobbit hanno una scintilla latente e si avventurano fuori dalla Contea. Se la società e la Chiesa non sono in uscita, anche il posto più sicuro del mondo non è per niente tale. Il romanzo finisce con la Contea devastata. È il rischio che stiamo correndo.”
Intervistato dall’Agenzia S.I.R., il direttore de L’Osservatore Romano Andrea Monda, appassionato del mondo tolkieniano ed esperto del libro Il signore degli anelli, fa un parallelo tra il romanzo e la vita a cui siamo chiamati per compiere il volere di Dio. Il paragone non è fuori luogo, perché, secondo lui, la letteratura è il frutto della riflessione dell’uomo sul mistero dell’esistenza e, nel momento in cui si entra in un racconto, ci si astrae dal mondo per poi tornarvi e dargli un senso.
“Siamo chiamati a includere gli altri creando una Compagnia di diversi […], di gente che magari è anche ostile al suo interno ma che insieme contribuisce alla buona riuscita della missione. Gli hobbit sono un po’ come gli uomini occidentali di oggi: sicuri, tranquilli e pacifici in una terra che non conosce guerra da più di settant’anni. Ma anche viziati da questo benessere. Uomini che non vivono più, ma si trascinano in un’accidia nichilistica.”
L’invenzione letteraria più originale di Tolkien sono gli hobbit, i piccoli abitanti della Contea modellati sull’uomo occidentale, con i suoi vizi e i suoi pregi, che rimangono invischiati in una storia più grande di loro, ma che riescono a crearsi un futuro grazie alla condivisione. Ognuno di essi contribuisce, con il proprio talento, a realizzare un disegno superiore e alla fine vince la Compagnia dell’anello (che, oltre a quattro hobbit, comprende un mago, due uomini, un elfo e un nano), non l’oscuro signore solitario e chiuso nella sua torre.
“Gli hobbit non sono eroi in senso tradizionale, anche se compiono grandi gesta. Ricordano più i santi: non perché siano perfetti, e neanche i santi lo sono. Ma perché si mettono al servizio di un disegno più grande. Diceva il teologo gesuita Daniélou che mentre l’eroe dimostra ciò di cui l’uomo è capace, il santo dimostra ciò di cui Dio è capace. Il santo presta la sua opera, debole o forte, per rispondere alla chiamata. Gli hobbit sono pronti, rispondono a una missione. Portano avanti il compito che gli è stato assegnato. Essere fedeli alla propria vocazione fa sì che somiglino ai santi, che rendano possibile il disegno della Provvidenza divina nella storia.”
Per Tolkien, che era cattolico romano, la storia è una lunga serie di sconfitte che non cancellano la vittoria finale. Il fallimento è sempre presente: Frodo non riesce a gettare l’anello che concentra in sé il male nel Monte Fato, unica possibilità per distruggerlo. Ma la storia non è fatta dall’uomo, è fatta da Dio. Così, l’anello viene comunque distrutto.
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