Con scienza e tecnica essi partecipano, in Cristo, al mandato assegnato da Dio di condurre a compimento il Creato.
Con scienza e tecnica essi partecipano, in Cristo, al mandato assegnato da Dio di condurre a compimento il Creato.
Per quanto possa sembrare strano, anche le imprese spaziali hanno un valore spirituale. Durante la prima circumnavigazione della Luna avvenuta la vigilia di Natale del 1968, l’astronauta Frank Borman lesse il primo capitolo della Genesi, mentre per la prima volta nella storia si guardava la Terra con dietro la Luna. Quando l’anno successivo la navicella spaziale Lem era poggiata sul suolo lunare, il collega Buzz Aldrin declamò il Salmo 8. Queste associazioni tra una missione astronautica e la potenza della creazione divina testimoniano la volontà dell’uomo di usare la propria intelligenza quasi come fosse un mandato divino, come spiega Giuseppe Tanzella-Nitti della Pontificia Università della Santa Croce e del Vatican Observatory su Avvenire. Lo scienziato Kostantin Tziolkovsky aveva già affermato che «la terra è la culla dell’umanità, ma non si può vivere per sempre in una culla».
L’esplorazione del cosmo, in fondo, è una continuazione dei primi passi dell’homo sapiens, che iniziò ad andare oltre i confini del territorio dove abitualmente abitava, mosso dalla volontà di conoscere e non più solo dall’istinto di nutrirsi e riprodursi. Cercava qualcosa di più. L’essere umano ha avuto così un progresso culturale che ha influito sulla sua evoluzione biologica, lasciando indietro tutti gli altri animali. Infatti, nei duecentomila anni in cui esso è passato dagli anfratti e dalle grotte alle stazioni spaziali in orbita e alle superficie di altri corpi celesti, nemmeno i primati superiori sono progrediti nel loro modo di procacciarsi il cibo o costruirsi un riparo.
La teologia cristiana può dare una spiegazione a tale questione: l’essere umano ha un compito da realizzare e per questo è stato plasmato dal suo Creatore. La tecnologia (quindi anche le imprese spaziali) partecipa al mandato assegnato da Dio ai nostri progenitori di prendere in consegna il Creato per condurlo al suo compimento. Guardando alle Sacre Scritture, ci sono esempi importanti in tal senso. Il Signore mise l’uomo nel giardino dell’Eden «perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gen 2,15) e la sua creazione adoperò attività tecniche intelligenti come la coltivazione e l’irrigazione per fare ciò in senso sia materiale che spirituale: il verbo “custodire” (shamar), infatti, è lo stesso usato quando si parla di preservare la vita umana o la legge di Dio nel proprio cuore. Le costruzioni dell’arca dell’alleanza e del Tempio di Gerusalemme, poi, sono capolavori ingegneristici e architettonici.
Nel Nuovo Testamento, il Verbo divino si è fatto carne nel figlio di un carpentiere, un falegname, ovvero colui che produce qualcosa di utile alla vita umana, e lo stesso Gesù farà quella professione. Tanzella-Nitti afferma dunque che i cristiani, piaccia o meno, sono seguaci di un tecnico. Un tecnico che, come dice san Paolo, mediante il suo mistero pasquale riordina la creazione disordinata dal peccato e la porta verso il suo compimento. Così, l’essere umano deve partecipare a questo moto, trasformando con amore il mondo grazie a una tecnologia che ha un valore spirituale in quanto non è uno strumento neutro, ma il modo con cui contribuire alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia.
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