La missione Catrimani nella terra degli indigeni yanomami è un luogo di incontro, conoscenza e rispetto.
La missione Catrimani nella terra degli indigeni yanomami è un luogo di incontro, conoscenza e rispetto.
La missione Catrimani nella Tiy, la terra degli indigeni yanomami nella foresta amazzonica, non è facile da raggiungere. Per fortuna. Le rapide del fiume che le dà il nome impediscono la navigazione e raggiungerla a piedi richiede cinque giorni di difficile cammino accompagnati da esperte guide locali. L’unica possibilità per arrivarci in modo relativamente rapido e con molti bagagli è prendere l’aereo. Questo è anche il mezzo usato dai garimpeiros che gestiscono le estrazioni minerarie e che, in teoria, dovrebbero avere il permesso per entrare in terra indigena. Negli anni Ottanta e Novanta, qui e nel territorio degli ye’kwana si contavano ottantadue piste di atterraggio clandestine; oggi, che le operazioni di contrasto sono molto più blande, è difficile dire quante siano.
Nella missione immersa nella foresta niente è fuori posto, tutto è curato. I missionari, guidati dal responsabile padre Corrado Dalmonego, svolgono le loro attività in casette di legno a un piano. Tra le varie cose, si occupano della formazione degli insegnanti, con l’uso il primo anno della lingua yanomae, nei due successivi di quella portoghese. L’ambulatorio, gestito dall’organizzazione pubblica Secretaria especial de atenção à saúde indígena, distribuisce farmaci, informa sulle malattie e, soprattutto, ha un microscopio per l’individuazione del parassita della malaria. La difficoltà sta nel fatto che gli operatori devono seguire ventidue comunità sparse sul territorio e le ultime si trovano a quattro-cinque ore di navigazione con piccole imbarcazioni a motore.
La missionaria della Consolata suor Mary Agnes Nieri Mwangi ha raccontato, in un’intervista a Rivista Missioni Consolata, la sua esperienza. Appena arrivata alla missione Catrimani ha imparato la lingua locale, lo yanomae, essenziale per rapportarsi con gli indigeni che spesso è l’unica che parlano. Frequentandoli assiduamente, ha potuto conoscere le abitudini e la cultura degli yanomami: la figura dello sciamano, sempre disponibile a condividere i problemi e le preoccupazioni altrui, talvolta con l’uso di sostanze allucinogene per aiutarsi nell’intermediazione con gli spiriti; la complicita che c’è tra le donne nel crescere anche i figli non propri; la poligamia, legata alla capacità dell’uomo di prendersi cura delle mogli (in genere al massimo due) e dei figli. Alcuni aspetti sono molto lontani dalla nostra civiltà.
“Il loro modo di trattare i morti è qualcosa che noi dobbiamo imparare. Oggi i nostri cimiteri sono pieni. Se noi pensiamo che, dopo morta, una persona diventi cenere, gli yanomami agiscono cremando i cadaveri e mescolando nel cibo le ossa polverizzate. Di qui si è arrivati a sentenziare: gli yanomami mangiano i morti. Chi parla così non conosce bene la loro cultura, il perché delle cose che si fanno. È un peccato. Non sempre quello che io vedo e penso è giusto. Questa è una cosa che mi dà molto fastidio.”
Sul fronte dell’invasione dei garimpeiros, suor Mary ha ricordato che negli anni Novanta i missionari hanno dovuto scavare un pozzo per non bere l’acqua del fiume contaminata dal mercurio usato nelle attività minerarie. Inoltre, afferma che costruire strade che attraversano questi territori è sbagliato. Lo dimostra il fatto che la missione Catrimani è un luogo di incontri, arrivando a ospitare anche duecento persone.
“Io credo che la strada non sia per gli indigeni. Sono persone che non hanno bisogno di strade perché sono popoli della foresta. Loro hanno… il Gps nella testa. Quando cammino con loro, io a volte non riesco ad orientarmi, a capire dove sono. […] E si mettono a ridere. La stessa cosa mi accade con i sentieri che io non vedo mentre loro sì. Voglio dire che ciò che io non vedo loro invece lo vedono. Dunque, la strada non è per i popoli indigeni, ma è per quelli come noi che non hanno il Gps nella testa.”
Come ha detto recentemente Papa Francesco nell’omelia della messa per la celebrazione dei vespri per l’inizio dell’anno missionario: «si diventa missionari vivendo da testimoni: testimoniando con la vita di conoscere Gesù. […] La fede non è propaganda o proselitismo, è rispettoso dono di vita […] diffondendo pace e gioia, amando tutti».
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