A Phrae l’iniziativa del Pime dona ai disabili fisici un futuro altrimenti negato dalle credenze tradizionali.
A Phrae l’iniziativa del Pime dona ai disabili fisici un futuro altrimenti negato dalle credenze tradizionali.
«Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?» (Gv 9,2), domandano i discepoli a Gesù all’inizio del capitolo sulla guarigione dell’uomo non vedente dalla nascita. Questo atteggiamento di fronte alla disabilità rispecchia quello ancora diffuso tra i thailandesi, sia buddhisti che animisti. Per i primi essa è una sorta di punizione da scontare per il karma negativo accumulato nelle vite precedenti o generato in quella presente, per i secondi è una maledizione degli spiriti conseguente ad azioni compiute da un membro della propria famiglia. Così in Thailandia, come in altre parti del mondo, i disabili non hanno vita facile, spesso abbandonati a sé stessi o dai nonni oppure chiusi in casa.
Come racconta Mondo e Missione, lo stato di solitudine e povertà rende loro difficile raggiungere le strutture ospedaliere o scolastiche. Il Centro San Giuseppe per bambini e giovani con disabilità fisiche, che sorge nella città di Phrae nel nord del Paese, è nato nel 1996 proprio per fornire a essi un aiuto concreto. Grazie all’iniziativa del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime), trenta ragazzi e ragazze in età scolare fisicamente disabili o con leggero autismo, che sono in grado di frequentare la scuola assieme ai loro coetanei, hanno un posto che li accompagna nella crescita. Altri quindici sono assistiti da fisioterapisti nelle loro case, mentre dieci giovani sono seguiti negli studi di avviamento professionale al termine della scuola dell’obbligo.
Nel Centro, dove opera uno staff di diciotto persone, gli ospiti possono contare su un ostello che li accoglie nel periodo scolastico, un servizio di accompagnamento alle lezioni, un centro di apprendi- mento olistico, insegnanti di sostegno, fisioterapisti ed educatori ventiquattr’ore su ventiquattro. Grazie a tutto ciò, c’è chi si è rimesso in piedi dopo anni di carrozzina, quello affetto da una grave forma di autismo che ora gioca sereno con i suoi amici, chi impara a vestirsi e andare a scuola da solo, chi va all’università nonostante la cecità o la distrofia muscolare. Aiutare questi giovani a vivere la loro disabilità con dignità permette di scoprire i loro doni e inserirli nella società.
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