In Tigray sta tornando la pace

Dopo la fine della guerra civile, nella regione settentrionale dell’Etiopia ritornano gli aiuti umanitari e riprendono i progetti missionari.

Dopo due anni di sanguinosa guerra civile e una delle più gravi crisi umanitarie al mondo, la regione etiopica del Tigray vede finalmente dei segnali concreti di pacificazione. L’accordo di pace firmato in Sudafrica a novembre dello scorso anno ha sancito il ripristino dell’autorità federale, il disarmo delle milizie ribelli del Fronte popolare di liberazione, il ritiro dei militari eritrei che avevano sostenuto non ufficialmente il governo di Addis Abeba e la riapertura dei flussi di aiuti umanitari. A Mondo e Missione Chiara Lombardi, direttrice generale di Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, organizzazione nata su promozione del Centro Nazionale Opere Salesiane, dichiara: «Per la prima volta, i sei membri del nostro staff, che hanno continuato a operare in Tigray, sono riusciti a comunicare con noi e alcuni di loro sono potuti finalmente volare nella capitale, dove ci siamo ritrovati dopo un periodo molto lungo e molto difficile».

I salesiani sono sempre rimasti sul posto per assistere migliaia di bambini e giovani, riconvertendo le loro attività principalmente educative in aiuti di prima necessità. In questi ultimi mesi, hanno visto che le comunicazioni telefoniche e internet hanno ripreso a funzionare e che sono state riaperte le vie aeree e terrestri, anche se alcune frontiere di terra sono ancora parzialmente chiuse. Il superiore dei religiosi, padre Abba Hailemariam Medhin, ha detto che «L’invio di aiuti umanitari è diventato più facile e continuiamo ad assistere le persone che sono state coinvolte nei due anni di conflitto. Le persone hanno ancora bisogno di generi alimentari e non solo. Stiamo lentamente riprendendo il servizio di assistenza psicologica e stiamo riaprendo i centri educativi, ma le persone necessitano soprattutto di cibo e servizi sanitari».

Le stime sulla guerra parlano di seicentomila morti, due milioni e mezzo di sfollati, cinquantaseimila profughi su una popolazione di poco più di sette milioni di abitanti. Le conseguenze sulle persone non si esauriranno in breve tempo, anche considerando i crimini di guerra perpetrati da entrambe le fazioni – stragi, torture, stupri di massa, saccheggi, distruzioni -, la prolungata siccità, l’invasione di locuste e la pandemia di coronavirus. È quindi un sollievo per Lombardi e i salesiani poter attivare diversi progetti per far fronte alle emergenze alimentari e igieniche e ripristinare i servizi educativi in scuole, istituti tecnici, centri giovanili e parrocchie. Nonostante molti edifici siano danneggiati o occupati da sfollati che un po’ alla volta stanno ritornando alle loro abitazioni e manchi personale docente, la cooperante è ottimista: «Il clima che si respira in queste ultime settimane è certamente ancora di fatica, ma anche di voglia di ricostruzione».