La transizione energetica globale provoca danni nei paesi più poveri

Nella R.D. del Congo, ricca di minerali strategici, le conseguenze ambientali e umane dell’estrazione incontrollata sono gravi.

Lo sfruttamento delle risorse naturali ritenute necessarie alla transizione energetica globale e le guerre per i minerali stanno producendo enormi danni, sia ambientali che umani, nella Repubblica Democratica del Congo. Il Nord e il Sud Kivu sono devastati da molteplici gruppi armati locali e stranieri (legati a Uganda e Ruanda), che si scontrano con la Guardia nazionale, la forza militare della Comunità Economica dell’Africa Orientale e i soldati della missione ONU. Nell’ovest e nel centro del Paese, diverse bande si stanno disputando la proprietà fondiaria e la concessione di terreni, con attacchi a villaggi, massacri di civili innocenti e la conseguente ondata di sfollamenti.

Questi conflitti sono spesso legati alla presenza nella terra di enormi riserve minerarie, che fanno gola a tanti. All’Agenzia Fides mons. Marcel Utembi Tapa, arcivescovo di Kisangani e presidente della Conferenza Episcopale Nazionale, ha detto che «Purtroppo tutte queste ricchezze suscitano la cupidigia di molti a livello nazionale, internazionale e mondiale. Lo sfruttamento di questi minerali non viene effettuato nelle legalità e nel rispetto delle regole bilaterali e multilaterali. Le multinazionali, insieme ai loro complici, fanno di tutto per sfruttare il nostro Paese al minor costo». Così, il popolo non riceve alcun beneficio dall’attività estrattiva, con la colpevole connivenza dei governanti locali.

Dovrebbe essere una fortuna per la popolazione congolese che il loro Stato abbia una grande disponibilità di minerali strategici, come il coltan usato per la fabbricazione di smartphone e satelliti e il cobalto impiegato nella costruzione delle batterie di veicoli elettrici. La Repubblica Democratica del Congo è potenzialmente ricchissima, ma i vantaggi vanno a una minoranza, la dirigenza politica e militare, mentre la gran parte degli abitanti vivono nella miseria. Nella sua visita apostolica, affrontando l’argomento Papa Francesco ha parlato di una sorta di neocolonialismo economico.

Le conseguenze di questo sfruttamento senza rispetto delle norme sono vaste e gravi. L’arcivescovo racconta che «quando sorvolate la regione di Kolwezi, dove l’estrazione del cobalto è fatta in maniera massiva, vedrete che la terra è segnata da grandi ferite. Si vedono buchi enormi dappertutto, prodotti dallo sfruttamento disordinato dei minerali». Per non parlare del drammatico inquinamento dei fiumi per lo sversamento degli scarti di lavorazione, con l’acqua che diventa fango, i pesci che muoiono e i rivieraschi che non hanno più una fonte d’acqua pulita. Mons. Utembi Tapa afferma allora: «Lo sviluppo industriale nel mondo avanzato ha delle ripercussioni in Africa. Ma allo stesso tempo i danni arrecati alle nostre foreste pluviali hanno conseguenze che si fanno sentire nel resto del pianeta».