Per trovare un’identità bisogna spogliarsi delle zavorre che coprono il vero io

Se vuoi trovarti devi perderti seguendo una dinamica di sottrazione che lascia solo ciò che fa la differenza.

Nella Bibbia, più che di Dio si parla dell’uomo visto in relazione al Creatore. Ma che cos’è l’uomo? Su Messaggero Cappuccino, il frate cappuccino e biblista Valentino Romagnoli prende come esempio tre scene bibliche per cercare di dare una risposta alla domanda. Nel nono capitolo del Vangelo di Luca, Gesù dice: «Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a sé stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la propria vita per amor mio, la salverà. Infatti, che serve all’uomo guadagnare tutto il mondo, se poi perde o rovina sé stesso?» (Lc 9,23-25). In sostanza, l’uomo è uno che può perdersi se vuole salvarsi, ma che può salvarsi se si perde. Per trovare la propria identità, dunque, bisogna spogliarsi delle zavorre che coprono il vero io, in una dinamica di sottrazione che è presente anche nei primi undici capitoli della Genesi. Qui si trovano due immagini opposte che esemplificano questa visione.

Nel racconto della Creazione, dove si legge «Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2,7), il verbo usato (yāṣar) indica l’azione del plasmare ed è lo stesso scelto, unico altro caso nella Bibbia, in riferimento all’azione di un vasaio. Dio è presentato come un ceramista che prende la polvere dalla terra (’adamah) e, come un vasaio che modella un blocco di argilla fresca e ottiene una forma togliendo la materia in eccesso, crea l’uomo (’adam) eliminando ciò che eccede il suo essere.

Per converso, l’innalzamento della torre di Babele verso il cielo, simbolo della volontà dell’essere umano di costruire la propria identità senza Dio, avviene con materiali scadenti – «“Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco”. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta» (Gen 2,4) – e secondo la logica dell’accumulo. La convinzione che ammassare per creare sé stessi, scambiando la grandezza con il prestigio, sia il modo per avvicinarsi all’atto creativo divino è proprio lo sbaglio dell’uomo. E gli esiti sono tragici, perché porta alla rottura delle relazioni tra i popoli e le genti.

L’uomo, dunque, non è ciò che accumula. Anzi, riempire la propria vita con cose non necessarie può essere un ostacolo per vivere pienamente. Ciò che si avvicina alla povertà, invece, può portare a riscoprire la propria dignità. È questo che ha insegnato san Francesco: per scoprirsi vero figlio di Dio si è tolto i panni paterni, rimanendo nudo come il primo uomo.