Dobbiamo portare la comunità dei viventi in cima ai nostri insegnamenti dogmatici, alla nostra predicazione e alle nostre liturgie.
Dobbiamo portare la comunità dei viventi in cima ai nostri insegnamenti dogmatici, alla nostra predicazione e alle nostre liturgie.
La questione della salvezza, centrale per i cristiani, non va intesa solo per gli esseri umani, ma va allargata a tutto il creato. La morte di Cristo in croce per espiare i peccati dell’umanità e la Sua resurrezione riguardano anche la galassia più remota e il vermicello più nascosto. Ogni parte dell’universo che Dio ha plasmato ha un futuro nella redenzione cosmica. Lo afferma Elizabeth Johnson, professoressa di Teologia presso la Fordham University di New York, che sul blog dell’editrice Queriniana afferma che questa visione è scomparsa all’epoca della Riforma, nel XVI secolo, quando diversi teologi hanno spostato l’attenzione sulla necessità di uomini e donne di essere salvati dalla loro natura peccatrice, escludendo così il resto della creazione.
Il tema, quindi, non è nuovo, è antichissimo ed è stato per lungo tempo dimenticato. In Gesù, Dio si è fatto uno con noi nella carne, per citare il Vangelo di Giovanni. La carne era quella umana, ma era parte della carne dell’intera comunità dei viventi sulla Terra (l’espressione “comunità dei viventi” è tra l’altro fondamentale nell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco). D’altronde, noi siamo indissolubilmente legati a essa: quello che ci tiene in vita è il cibo che ingeriamo, l’aria che respiriamo. Oggi, grazie alle conoscenze scientifiche, lo possiamo comprendere ancora meglio. La professoressa Johnson spiega:
«Per tentare di comprendere che […] siamo parte di una meravigliosa comunità di viventi, dobbiamo portare quella comunità di viventi in cima ai nostri insegnamenti dogmatici, nella nostra predicazione e nelle nostre liturgie. Nelle Scritture si trasmette l’idea che quando la parola si fece carne e dimorò in mezzo a noi, fosse Dio che si legava personalmente agli esseri umani, ma anche a tutta la carne sulla terra, alla materia. […] Una parte di Dio si è legata all’universo umanamente, fisicamente, in quanto evento cosmico. Pertanto, nella sua morte, Dio è con tutte le creature che muoiono, non solo con gli esseri umani, ma con i piccoli di pellicano, con la gazzella inseguita dal leone e così via.»
Se prendessimo a cuore questo concetto, ci sarebbero due conseguenze sulla nostra visione della vita. Innanzitutto, aumenterebbe la consapevolezza che noi non siamo i padroni del creato, ma che viviamo con dei vicini, dei parenti di specie diverse da quella umana. Poi, ci sarebbe un formidabile impulso etico per la salvaguardia ecologica della Terra e per l’assunzione di responsabilità verso tutto ciò che ora stiamo sostanzialmente distruggendo, che dovrebbe causarci un’intima sofferenza.
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