L’umiltà, il disinteresse e la beatitudine sono legati a un’attitudine ospitale e vanno intesi come testimonianze per la società tutta.
L’umiltà, il disinteresse e la beatitudine sono legati a un’attitudine ospitale e vanno intesi come testimonianze per la società tutta.
L’umanesimo storico, che ha generato l’antropocentrismo occidentale, ha contribuito a generare valori (diritti umani, libertà, uguaglianza, fraternità) e istituzioni democratiche, ma ha bisogno di essere rivisitato. Oggi, infatti, si è evoluto con storture alle quali le nostre società non riescono a porre rimedio. Tra queste, la distinzione tra l’“a casa nostra” e l’“a casa loro”, che presuppone delle frontiere, delle barriere. Lo stile di Gesù, però, comprende l’empatia con l’altro e il dono di sé e il lato umanistico del Vangelo racconta storie di ospitalità.
Sull’Osservatore Romano, Christoph Theobald, padre gesuita docente di Teologia fondamentale e di Dogmatica al Centre Sèvres di Parigi, parla di umanesimo dell’ospitalità, necessario per un nuovo stile di vita cristiana. I sentimenti necessari per delineare il nuovo umanesimo cristiano evocati da Papa Francesco nel suo discorso al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze del 2015 – l’umiltà, il disinteresse e la beatitudine – sono legati a un’attitudine relazionale e ospitale. Ai filippesi san Paolo dice «Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a sé stesso, senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri» (2, 3-5): i primi due sentimenti sono alla base del gesto ospitale e ne rappresentano la condizione elementare. La beatitudine è una gioia come quella che nasce nel momento in cui Zaccheo accoglie Gesù nella sua casa.
Queste tre attitudini non riguardano soltanto la comunità cristiana, ma vanno intese come testimonianze per la società tutta, che rendono presente il Vangelo nella cultura di oggi. Questo nuovo umanesimo va proposto alla maniera di Gesù, come offerta gratuita di un’ospitalità quotidiana, confidando nel fatto che la fiducia genera fiducia e libera le forze creatrici del faccia a faccia. Gli spazi in cui farlo sono quelli della socializzazione (famiglie, scuole, associazioni, partiti politici) e dell’accoglienza degli esclusi, tenendo presente che la fiducia viene generata in gruppi relativamente ridotti. Nessuna parola ecclesiale lasciata cadere dall’alto, dunque, ma gli incontri con l’altro e scambi di gesti e parole generano la capacità di affrontare collettivamente un futuro incerto.
Per proporre questo nuovo modello di umanesimo e ispirare una nuova cultura, i cristiani devono offrire ospitalità a ciascuno, domandarla per sé in seno alla società e ricordare l’accoglienza della Terra nei confronti di tutti noi. Questo stile è un modo per prendere sul serio quanto il Vaticano II ha detto sulla presenza pastorale e missionaria dei cristiani nella società. Il nuovo umanesimo va reso più largamente accessibile e questo lo si può fare facendo attenzione all’unicità degli itinerari umani, alla convivenza sociale e al futuro del nostro pianeta. «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli» (Ebrei, 13, 2).
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