La valorizzazione non può coincidere con quella immobiliare consueta, ma deve essere in continuità con le specificità e il carisma della proprietà.
La valorizzazione non può coincidere con quella immobiliare consueta, ma deve essere in continuità con le specificità e il carisma della proprietà.
Il ragguardevole patrimonio immobiliare della Chiesa che attualmente è utilizzato in maniera parziale potrebbe essere riusato e valorizzato a fini sociali in conformità con i loro scopi e peculiarità. Questo patrimonio, sul quale grava la duplice legislazione del diritto ecclesiastico Codex Iuris Canonici e quello dello Stato Italiano, sussiste in relazione a tre finalità: culto divino, onesto sostentamento del clero ed esercizio di opere di apostolato sacro e di carità.
La sua valorizzazione deve quindi rispettare la natura di bene ecclesiastico e la redditività non può essere l’unico criterio da tenere presente. Ne consegue che la valorizzazione del patrimonio immobiliare ecclesiastico non può coincidere con la valorizzazione immobiliare consueta. La valorizzazione dei beni destinati alle opere di carità e di apostolato sacro deve essere indirizzata verso usi sociali o ecclesiali in continuità con le specificità (carisma) della proprietà. Inoltre, per tale valorizzazione si dovranno impiegare mezzi coerenti con i fini e perseguire un equilibro economico a valere nel tempo.
Francesca Giani, nel suo intervento Il patrimonio immobiliare ecclesiastico: analisi per la sua valorizzazione a fini sociali al XIV Congresso Internazionale di Riabilitazione del Patrimonio tenutosi a Matera dal 18 al 20 giugno 2018, propone una sintesi indirizzata alla comprensione del tema e finalizzata alla valorizzazione degli immobili orientata a fini sociali.
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