Il Vangelo non è una religione, ma un progetto di vita

Il teologo gesuita José María Castillo: «una cosa è raccontare, altra cosa è vivere, ed è questo il problema della Chiesa».

“La radice del problema […] è che la Chiesa sin dalle origini si è sempre trovata in difficoltà, lontana e talvolta in netta contraddizione con il Vangelo. Non dimentichiamo una cosa importantissima: il Vangelo non è semplicemente una religione. Ne è prova il fatto che il suo protagonista, Gesù, è stato messo a morte dalla religione. E i racconti evangelici (i quali, in fin dei conti, sono una teologia narrativa che non viene esposta per teorie o dottrine, bensì tramite il racconto di fatti e di avvenimenti), che ciascuno degli evangelisti ha presentato in maniera differente, nel profondo coincidono in un aspetto essenziale che, di norma, buona parte del mondo clericale fatica a riconoscere, e cioè che il Vangelo non è una religione – e, pertanto, non lo è nemmeno il cristianesimo. È, piuttosto, un progetto di vita. La Chiesa e il cristianesimo purtroppo si sono presentati, hanno vissuto, si sono organizzati e si rapportano alla società come una religione, e questo è avvenuto a costo di deformare ed emarginare il cuore e il fulcro del Vangelo.”

In una intervista allo spagnolo Periodista Digital (tradotta da Queriniana), il teologo gesuita José María Castillo riflette sul rapporto tra Chiesa, Vangelo e potere. Secondo lui, il problema alla base sta nel fatto che, per diffondere il progetto di vita di Gesù, già alle origini il cristianesimo sia diventato una religione, per di più legandosi poi a un potere (quello dell’Impero romano). La sua diffusione è avvenuta principalmente a opera di san Paolo, che non conobbe Gesù. L’esperienza del Risorto, nel famoso episodio sulla via per Damasco, la ebbe con il Cristo non più di questo mondo, ma oltre questo mondo. Per di più, nella Seconda lettera ai Corinzi egli afferma che il Gesù incarnato (cioè il Gesù umano) non rientra fra i suoi interessi.

“I vangeli iniziarono a diffondersi dal 70 d.C., circa quarant’anni dopo la morte di Gesù, quando la Chiesa si era già organizzata in comunità e assemblee nelle grandi città dell’Impero. Questo è il primo problema. Il secondo è che le assemblee che organizzavano le chiese di Paolo non avevano dei templi, delle chiese come oggi le intendiamo (nel senso degli edifici). Si riunivano in case, che dovevano però essere grandi, e solo i ricchi e i potenti disponevano di grandi abitazioni. Pertanto, la Chiesa si organizzò attorno alle case della gente ricca e importante, e dunque attorno ai loro interessi. Un terzo fattore […] è che nei primi secoli l’Impero era bilingue: si parlavano soprattutto greco e latino. Ma i vangeli furono scritti in greco, che era la lingua della gente colta, di un certo livello sociale, culturale, ecc. E i poveri, che facevano? Quello che han sempre fatto e che seguitano a fare: stavano ai margini. La prima traduzione della Bibbia di cui siamo a conoscenza non è quella del 180 d.C. […]. Secondo Tertulliano, è nel III secolo che si hanno notizie di una traduzione della Bibbia in latino. Pertanto, nei primi due secoli il popolo non poteva conoscere il Vangelo. Vi è un quarto fattore molto importante: all’inizio del IV secolo avviene la famosa conversione di Costantino. A partire da quel momento, la chiesa comincia a godere di diversi privilegi.”

Da quando Teodosio dichiarò il cristianesimo religione ufficiale dell’Impero fino all’inizio del VI secolo, vi fu l’ingresso in massa nella Chiesa delle persone più ricche e potenti, che portarono i loro interessi. P. Castillo conclude con questa riflessione:

“Il Vangelo non è una teoria, è uno stile di vita. Ed è presente nella misura in cui viene vissuto. Se così non fosse, avremmo un mucchio di teorie, di detti evangelici convertiti in detti popolari; ma una cosa è raccontare, altra cosa è vivere. Ed è questo il problema della Chiesa: che abbiamo una istituzione bene organizzata, ben gestita e strutturata, ma al contempo lontana e distante dal Vangelo. Certamente vi sono anche persone, movimenti e gruppi che lo vivono, che si sforzano di viverlo. Ma troppi segni sono scandalosi.”