Un percorso all’interno del Libro dei Salmi, per un cammino di maturità umana e di fede. Salmi da 107 a 150.
Un percorso all’interno del Libro dei Salmi, per un cammino di maturità umana e di fede. Salmi da 107 a 150.
1. Cammino pasquale di maturazione che procede “a spirale”
Entriamo nel V libro del Salterio (Sal 107-150). Esso traccia il cammino della maturità umana e di fede del credente, dove le difficoltà e le prove della vita, i conflitti e le astuzie dei nemici, pur rimanendo sempre presenti, tuttavia sono affrontate con un più intenso spirito di fiducia e di speranza in Dio, poiché sta crescendo nel credente la consapevolezza della presenza di Dio che si pone accanto al giusto, per non l’abbandonarlo nell’ora della tentazione, del disagio e dell’oppressione, per sostenerlo, liberarlo e salvarlo. Questa crescente consapevolezza la si percepisce dal fatto che qui l’orante con maggiore frequenza canta a Dio salmi di fiducia, di ringraziamento, di lode e di benedizione: sta imparando a crescere come esistenza dossologica, ovvero a lodare e ringraziare Dio con la vita, con il suo modo di essere e di agire in questo mondo complesso e complicato.
Certo, qui non mancano la supplica, l’imprecazione e il lamento, a motivo delle difficoltà e delle angustie della vita, come pure della lotta contro i nemici, interni ed esterni a sé, che l’orante deve quotidianamente sostenere. E d’altronde, lo sappiamo, il cammino di maturazione spirituale non è mai semplice e lineare, al contrario, complesso e più articolato e alcune volte intricato; diciamo che il cammino procede a spirale: si avanza salendo, si ritorna indietro scendendo e si riprende a salire avanzando, e così di seguito. Detto questo, non c’è dubbio che qui, con l’avvio dell’itinerario di crescita nella maturità spirituale, riscontriamo un nuovo inizio, un salto di qualità dal tenore tipicamente pasquale (“pasqua” vuol dire “passaggio” e anche “salto/danza”): un itinerario graduale di salvezza da ogni forma di schiavitù mortifera e disumanizzante, e nel contempo un itinerario di speranza nel Dio Liberatore che apre nella storia sentieri nuovi e alternativi di vita. Tutto questo lo contempliamo più da vicino, entrando all’interno della struttura redazionale del V libro dei Salmi.
2. I tratti fondamentali della crescita verso la maturità
È ormai un dato per lo più acquisito che il V libro del Salterio si estende dal Sal 107 al Sal 145 (i Sal 146-150 invece sono la conclusione a tutto il Salterio) e che esso ha una sua struttura redazionale che conferisce una certa unità compositiva all’insieme per mezzo di un filo d’oro tematico che attraversa, lega e unisce un salmo all’altro. Proviamo, allora, ad entrare nell’articolazione di questa struttura, evidenziando alcuni tratti fondamentali che segnano il cammino di maturazione del credente.
a) Apertura: discernere l’amore del Signore e rendergli grazie
Il V libro si apre con il Sal 107, ovvero con la più universale azione di grazie di tutto il Salterio. Nel primo invito al ringraziamento del v. 1 («Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre») e negli altri quattro inviti dei vv. 8.15.21.31 («Ringrazino il Signore per il suo amore, per le sue meraviglie a favore degli uomini»), l’orante sta imparando a ringraziare Dio per il suo amore fedele, eterno, incondizionato, gratuito e creativo verso ogni persona umana, verso tutta l’umanità. Tutti coloro che vivono ai quattro punti cardinali della terra (oriente e occidente, settentrione e meridione: cf. v. 3) e sono in esilio, attraversano il deserto, navigano nel mare, sperimentano pericoli e sciagure, tutti costoro sono comunque guidati, riscattati, liberati e salvati dall’amore di Dio. Dio non dimentica nessuno.
È questo il filo d’oro tematico che attraversa i Salmi 108-145: l’amore del Signore è sempre operativo nella storia umana. L’orante, infatti, sta imparando a discernere con sapienza come l’amore del Signore opera in modo imprevedibile nella sua esistenza e nell’esistenza di ogni persona, popolo e comunità che abita sulla faccia della terra. Sta imparando a guardare la realtà, a leggerla e a discernerla nella prospettiva operante dell’amore di Dio. Perciò a conclusione del Salmo dice – a se stesso e agli altri –: «Chi è sapiente osservi queste cose e comprenderà l’amore del Signore» (v. 43). Qui abbiamo un primo tratto della maturità (sapienza) del credente: discernere nel mondo e nella storia la presenza dell’amore divino liberante e creativo, e per questo rendere grazie al Dio dell’Alleanza
b) Dopo l’apertura col Sal 107, abbiamo la seguente architettura compositiva, un po’ complessa
A. Salmi 108-110. Saper vigilare su se stessi e diventare preghiera
Questi sono salmi davidici, per lo più di supplica, che evidenziano dell’orante la condizione di straniero, di esiliato lontano dalla patria a cui spera un giorno di ritornare. Ma le prove e i conflitti non mancano, e il combattimento spirituale è sempre necessario per disarmare innanzitutto se stessi di fronte ai nemici. L’orante, tuttavia, in questa sua crescita verso la maturità, rimane saldo in Dio, vigilante su se stesso e sugli eventi della storia per non rischiare di esserne travolto (cf. Sal 108,1). Non solo, nelle situazioni più conflittuali, dove in cambio dell’amore riceve odio e accuse, l’orante, per evitare di rispondere al male con il male, si pone in preghiera affinché la sua esistenza diventi preghiera (cf. Sal 109,4); si affida a Dio, pone la vita nelle sue mani, perché egli ha compreso che il Signore Dio – per amore – è accanto a lui nella lotta e lotta con lui («siedi alla mia destra»), così come è accanto al suo Messia Re e Sacerdote (cf. Sal 110).
B. Salmi 111-118. Imparare a lottare con il Signore: la vittoria pasquale
Questi sono salmi allelujatici pasquali (la collezione dei Sal 113-118 è definita Hallel egiziano). L’orante – felice di temere il Signore (cf. Sal 112,1), cioè di avere nei suoi confronti un rispetto affettuoso – canta con gioia questi salmi perché, imparando a lottare con il Signore per affrontare con lui le prove della vita, imparando a discernere e a prendere le distanze da ogni forma di idolatria mortifera (cf. Sal 115), sperimenta – come Israele liberato dall’Egitto (cf. Sal 114) – la vittoria pasquale sul nemico: «[il Signore] solleva dalla polvere il debole, dall’immondizia rialza il povero» (Sal 113,7); «il Signore mi ha corretto, mi ha corretto, ma non mi ha consegnato alla morte» (Sal 118,18). E per questo loda e ringrazia e invita tutti i popoli a lodare e ringraziare per l’amore fedele del Signore (Sal 117; 118).
C. Salmo 119. L’amore per la Parola di Dio, “dimora” della sua Presenza
Questo è un salmo sapienziale, dove l’orante canta il suo amore per la Torah (la Legge) che Dio al Sinai ha donato gratuitamente al suo popolo per sostenerlo nel cammino della vita. Come la Parola di Dio è centrale per la vita dei credenti, perché è Luce e orientamento di vita, e non semplice elenco di precetti, allo stesso modo il Sal 199 (il più lungo di tutto il Salterio) è collocato al centro di questa architettura compositiva del V libro del Salterio. Ogni versetto del Sal 119 esprime, a suo modo, l’amore per la Torah che contiene la Parola di Dio, e per questo essa è il luogo sorgivo della sua Presenza di Grazia (cf. v. 29) e di Misericordia (cf. v. 77). Infatti, il credente che legge, ascolta, medita, prega e vive la Parola di Dio contenuta nelle S. Scritture, entra in comunione con Dio, in una relazione dialogica di amore con Lui (cf. v. 103), relazione che gli dilata il cuore (cf. v. 32), un cuore che gli permette di sentire e di vedere in grande, un cuore aperto ad accogliere e amare i fratelli e le sorelle nella fede e in umanità. Ma l’orante del Sal 119 sa che su tutto questo ha ancora molto da lavorare su se stesso, poiché sa che sovente si perde…, che va errando come pecora smarrita (cf. v. 176). Per questo alla fine del salmo chiede a Dio: «cerca il tuo servo» (ivi). Sì, Dio non solo dona la Torah e non solo la insegna, ma va a cercare lui stesso colui/colei che deve ricevere il dono della Torah, Parola che è lampada per i passi e luce nel cammino della vita (cf. v. 105).
D. Salmi 120-134. Pellegrinaggio geografico e interiore verso Gerusalemme, città della Pace
Centrale nel V libro del Salterio – quasi da costituire un “dittico” assieme al Sal 119 – è anche questa piccola raccolta di quindici salmi. Essi sono finalizzati ad accompagnare spiritualmente i passi del pellegrino nel suo pellegrinaggio annuale (a Pasqua, a Pentecoste e nella Festa delle Capanne) di salita a Gerusalemme e in particolare di salita al Tempio (cf. Is 2,3; Mi 4,2; Gv 2,13; 2Re 19,14; Lc 18,10). Perciò questi salmi sono chiamati salmi delle salite o salmi graduali e sono per lo più salmi di fiducia e di ringraziamento. Pregandoli, conferiscono al pellegrinaggio la fisionomia di un viaggio interiore e non solo geografico: mentre il pellegrino cammina seguendo le tappe che scandiscono il suo pellegrinaggio, nello stesso tempo compie dentro di sé un itinerario interiore, un cammino di ricerca, di verifica e di rinnovamento interiore. Seguiamo le tappe di questo pellegrinaggio geografico e interiore.
– La partenza (cf. Salmi 120-121)
Il Sal 120 mette in risalto la condizione di partenza del pellegrino: egli è un esule, uno straniero; vive una situazione esistenziale di estraneità (cf. Sal 119,19; 1Pt 2,11; Fil 3,20; Eb 11,13) nel territorio in cui abita, nel suo ambiente, nella sua città. Perché? Perché nelle relazioni con gli altri, egli, che si impegna ogni giorno ad essere una persona trasparente e amante della pace (il testo dice «io pace»: v. 7), ha invece a che fare con lingue di inganno, con persone che detestano e sbeffeggiano la pace, la fraternità-sororità. È proprio questo vivo desiderio e questa forte ricerca di pace e di fraternità che spinge il pellegrino ad intraprendere il pellegrinaggio verso Gerusalemme. Perciò decide di partire (cf. Sal 121): alza gli occhi verso Dio per invocare il suo aiuto e riceve (da un sacerdote) la benedizione per chi deve affrontare un viaggio impegnativo e rischioso: nel cammino il Signore sarà il tuo custode, veglierà e camminerà con te (vv. 3-8).
– L’arrivo (cf. Salmi 122-125)
Il pellegrino, custodito dal Signore, giunge finalmente alle porte di Gerusalemme (cf. Sal 122). Alza gli occhi e la contempla dall’esterno e nello stesso tempo la contempla nella sua vocazione-missione ricevuta da Dio: essere e diventare la città della pace (questo significa il suo nome), la città che unisce e non divide, che accoglie e non emargina, la città della fraternità-sororità e non dell’odio e dell’inganno. Perciò invoca e chiede di invocare la pace per questa città, e probabilmente per la sua città di provenienza e per ogni città. Stando ancora alle porte di Gerusalemme, il pellegrino, pregando con il Sal 123, alza gli occhi verso Dio, perché vede già il Tempio, il luogo della sua presenza in mezzo al suo popolo, e con fiducia lo supplica affinché lo liberi dalle sofferenze personali e comunitarie, e dal disprezzo degli arroganti. Dopo la supplica fiduciosa, pregando con il Sal 124, il pellegrino fa memoria-attualizzazione del passato, dove il Signore, fedele alle sue promesse, ha liberato i pellegrini come lui da gravi pericoli. E per questo lo ringrazia e lo benedice. E ancora, pregando con il Sal 125, il pellegrino, sempre con gli occhi rivolti verso Dio, professa la sua fede in lui, si affida a lui, affinché – come ogni uomo giusto – sappia interiorizzare la sua bontà e non sia tentato a ricambiare il male con il male.
– Il soggiorno (cf. Salmi 126-132)
Quando il pellegrino entra in Gerusalemme, gli sembra di sognare: avverte la fine del suo esilio, si sente a casa sua, ritrova la propria cittadinanza, il senso della dimensione comunitaria della vita: è come se già ritornasse in patria. Perciò, con il Sal 126, accompagnato dal rito dell’offerta delle primizie (cf. v, 6), egli prega il canto degli esuli e dei prigionieri che finalmente ritornano in patria; con i Sal 127-128 canta la gioia della famiglia, comunità domestica; con il Sal 129 fa memoria e verifica del suo passato, con il Sal 130 chiede perdono dei suoi peccati, dei suoi fallimenti; e, dopo aver ricevuto il perdono di Dio, con il Sal 131 esprime il suo abbandono fiducioso in lui; e, infine, con il Sal 132 celebra la signoria del Messia che ha la sua sede regale e il suo riposo nella città di Gerusalemme, signoria che rappresenta il fondamento teologico della elezione di Gerusalemme come città della pace e della fraternità.
– Il ritorno (cf. Salmi 133-134)
Dopo aver celebrato i sacrifici di comunione, dove una parte della vittima è mangiata dal sacerdote e un’altra parte è mangiata dal credente, il pellegrino canta il Sal 133. Esso esprime la gioia di aver incontrato a Gerusalemme una comunità di fratelli che lo ha accolto, consolato e sostenuto: «Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme!» (v. 1). È il canto della bellezza della fraternità: quando la fraternità la si accoglie e la si vive come dono di Dio che scende come olio-crisma dell’unzione dello Spirito e come rugiada che feconda la terra, allora la fraternità esercita la sua vocazione sacerdotale: diventa segno di benedizione per il mondo e di rinnovamento per la vita del popolo e del territorio. La fraternità, se vissuta come dono di Dio, ha una efficacia salvifica intrinseca: libera dall’idolatria mortifera dell’individualismo, libera dall’amore di sé e per sé, libera dal narcisismo e dall’autoreferenzialità, e rende capaci dell’incontro gratuito con l’altro. Gesù, prima di lasciare i suoi discepoli e di ritornare al Padre, dirà: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34-35). Con il Sal 134, il pellegrino, prima di affrontare il viaggio di ritorno, benedice la comunità di fratelli che l’ha accolto e rinfrancato; con loro ha fatto esperienza dell’amore di Dio e l’esperienza della bellezza teologale della fraternità. Per questo canta: «Ecco, benedite il Signore, voi tutti, servi del Signore, voi che state nella casa del Signore durante la notte. Alzate le mani verso il Santuario e benedite il Signore» (vv. 1-2). È il saluto benedicente del pellegrino alla comunità di Gerusalemme. A sua volta, la comunità di Gerusalemme, che assiste alla partenza del pellegrino, risponde al suo saluto benedicendo il pellegrino: «Il Signore ti benedica da Sion: egli ha fatto cielo e terra» (v. 3). Si stabilisce così un vincolo di comunione fraterna tra chi parte e chi resta. Colui che parte e ritorna nella complessa realtà quotidiana, porta con sé la benedizione di Dio, ovvero l’amore e la pace di Dio come impegno di vita e di testimonianza nella città degli uomini.
B’. Salmi 135-137. La vittoria pasquale sugli idoli
Dopo i canti delle salite, ecco – in rapporto a B. Sal 111-118 – i salmi pasquali del Grande Hallel (cf. Sal 135-136) – che celebrano la vittoria pasquale sulle varie forme di idolatria, manifeste e sottili, che disumanizzano la vita umana. È il canto del credente che sta crescendo nella consapevolezza che anche lui deve uscire dal suo Egitto, dalle sue schiavitù – poiché il pericolo di ritornare nell’esilio lontano da Dio è sempre dietro l’angolo (cf. Sal 137) – e consegnarsi con fiducia all’amore di Dio, amore fedele ed eterno, che libera e salva.
A’. Salmi 138-145. Rendimento di grazie
Nell’ultima sezione del V libro del Salterio – in rapporto ad A. Sal 108-110 –, il credente rende grazie al Signore che porta a compimento la sua opera (cf. Sal 138). Prende sempre più coscienza, non tanto di conoscere lui Dio, bensì di essere conosciuto lui da Dio (cf. Sal 139), e per questo lo supplica che lo liberi dai malvagi oppressori (cf. Sal 140-143), che lo liberi dalla tentazione, sempre presente, di seguire e imitare i malfattori (cf. Sal 141,4). Ed esprime tutta la sua fiducia in Dio, affinché sia lui stesso ad insegnarli l’arte disarmante della lotta contro i nemici che abitano ancora dentro di sé (cf. Sal 144). E giunto a questo punto del suo cammino di crescita verso la maturità, il credente non può non elevare una solenne lode al Signore, perché si è manifestato grande nella misericordia e nella compassione, nella bontà e nella fedeltà (cf. Sal 145).
3. Portale di uscita dal Salterio (Salmi 146-150)
Come c’è il Portale d’Ingresso nel Salterio, formato dai Sal 1-2 che indicano l’obbedienza alla Parola di Dio essere la via della felicità e della figliolanza divina, allo stesso modo c’è il Portale di uscita dal Salterio, formato dai Sal 146-150, detto anche Piccolo Hallel quotidiano (nella liturgia ebraica viene pregato ogni mattina), il quale è un invito a lodare Dio con la propria vita, un invito a fare del nostro modo di essere e di agire una dossologia esistenziale per Dio nel dono di sé, o, come direbbe la mistica carmelitana Elisabetta della Trinità, diventare una Lode di Gloria a Dio Trinità. C’è, dunque, un legame tra i due Portali del Salterio: dall’obbedienza alla Parola alla lode come espressione di una vita donata. In questi salmi alleluiatici, allora, sentiamo riecheggiare con variazioni diverse i temi della lode presenti nel Sal 145: la bontà universale di Dio che si manifesta nella sua creazione, nella salvezza donata al suo popolo, nel rinnovamento di Gerusalemme, nella suo amore per i deboli e i poveri.
Il Sal 150, che conclude la raccolta del Piccolo Hallel, presenta a noi una grande corale sostenuta da una grande orchestra. L’orante convoca tutte le creature dell’universo a lodare Dio, e coinvolge anche gli strumenti musicali (nessuno escluso…), poiché spesso le parole da sole non sono sufficienti a lodare Dio è necessario anche l’apporto della musica. Ecco, allora, una immensa orchestra dove il respiro cosciente dell’essere umano raccoglie in sé le voci di tutte le creature, vicine e lontane, e le presenta a Dio per lodare la sua Signoria sul mondo e sulla storia. È una lode che ha il senso della gratuità, poiché non ha altro scopo se non quello di lodare Dio in sé e di vivere la vita come un dono per gli altri. È la lode innalzata dall’uomo vivente fatto preghiera, maturo nella fede e in umanità. «Una Lode di gloria è un’anima che dimora in Dio, che lo ama d’un amore puro e disinteressato […]. Una Lode di gloria è un’anima di silenzio che si tiene come una lira sotto il tocco misterioso dello Spirito Santo, affinché egli ne faccia uscire armonie divine» (Elisabetta della Trinità, Il cielo nella fede, in Opere, Paoline, Cinisello Balsamo 1993, pp. 595-596).
Egidio Palumbo
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