Ai vertici della curia romana potranno essere nominati anche laici e laiche

Con la costituzione apostolica “Praedicate evangelium” il Papa riforma il governo della Chiesa e lo apre a tutti i fedeli.

«Il Papa, i vescovi e gli altri ministri ordinati non sono gli unici evangelizzatori nella Chiesa. […]. Non si può non tenerne conto nell’aggiornamento della curia, la cui riforma, pertanto, deve prevedere il coinvolgimento di laiche e laici, anche in ruoli di governo e di responsabilità. La loro presenza e partecipazione è, inoltre, imprescindibile, perché essi cooperano al bene di tutta la Chiesa». Già in questo passaggio del Preambolo (n. 10) della costituzione apostolica Praedicate evangelium, emanata il 19 marzo 2022, si capisce come Papa Francesco abbia voluto inserire nel testo di riforma della curia romana la possibilità di porre anche fedeli laici alla guida dei dicasteri.

Come ha commentato nella conferenza di presentazione del documento il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, questa innovazione era stata auspicata, seppure timidamente, dal Concilio vaticano II. Si inserisce in questo percorso l’abbandono definitivo del termine “congregazione”, introdotto nel 1588 da Sisto V e destinato ad avere come presidente un cardinale, a favore di “dicastero”, dal significato più ampio e quindi aperto a tutti i battezzati. Quest’ultimo ricorreva anche nelle ultime legislazioni, ma sempre con valore generico e non sistematico, come nella costituzione apostolica Pastor bonus (1988) di san Giovanni Paolo II che è stata ora riformata dall’attuale pontefice.

Nella Pastor bonus c’era anche scritto che «gli affari, i quali richiedono l’esercizio della potestà di governo, devono essere riservati a coloro che sono insigniti dell’ordine sacro» (n. 7). Come ha sottolineato Gianfranco Ghirlanda s.j., professore emerito alla Facoltà di Diritto canonico della Pontificia università gregoriana, il nuovo ruolo di governo affidato ai laici all’interno della curia romana è dunque un aspetto innovativo, in quanto l’autorità non deriva più dal grado gerarchico di cui si è investiti, ma, come si legge nei Principi e criteri per il servizio della curia romana della Praedicate evangelium (n. 5), «Ogni istituzione curiale compie la propria missione in virtù della potestà ricevuta dal romano pontefice in nome del quale opera con potestà vicaria nell’esercizio del suo munus primaziale. Per tale ragione qualunque fedele può presiedere un dicastero o un organismo, attesa la peculiare competenza, potestà di governo e funzione di quest’ultimi».

L’articolo 15 delle Norme generali della costituzione apostolica definisce la novità: «I membri delle istituzioni curiali sono nominati tra i cardinali dimoranti sia nell’Urbe che fuori di essa, ai quali si aggiungono, in quanto particolarmente esperti nelle cose di cui si tratta, alcuni vescovi, soprattutto diocesani/eparchiali, nonché, secondo la natura del dicastero, alcuni presbiteri e diaconi, alcuni membri degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica ed alcuni fedeli laici». Questo allargamento della carica di governo, alla quale sono già abili i chierici, trova il suo fondamento nel Codice di diritto canonico (can. 129), che afferma che «Nell’esercizio della medesima potestà i fedeli laici possono cooperare a norma del diritto».