La violenza ha sempre a che vedere con il potere

Le storie bibliche di Betsabea e Susanna rivelano lo scenario patriarcale della violenza sulle donne.

“Non ci piace pensare che ci siano pagine bibliche che, non solo mettono a tema la violenza, ma la raccontano nel dettaglio. E mentre chi legge si chiede come può la violenza essere parte della Parola di Dio, le Scritture rispondono che non possiamo parlare di umanità senza affrontare la violenza che la abita fin dall’adolescenza. I racconti biblici che mettono in scena la violenza ci rivelano che essa ha sempre a che vedere con il potere: quello di un tiranno su un popolo, di un fratello sull’altro, di un uomo su una donna, di un sistema sociale sui più deboli. Se l’agire violento è fortemente legato al potere, c’è da aspettarsi di trovare nella Bibbia molte storie di violenza sulle donne.”

La teologa Lidia Maggi, sul Messaggero Cappuccino, affronta il tema del potere in relazione alla Bibbia, parlando di episodi che mettono in scena racconti di violenza sulle donne. Le storie di Betsabea (2Sam 11) e Susanna (Dan 13), pur tra elementi divergenti, hanno diversi punti di contatto tra loro: non solo entrambe vengono spiate da sguardi maschili che violano la loro intimità, ma anche i fatti si svolgono nel contesto di chi esercita un potere e lo fa in modo iniquo.

“Davide, il re di Israele, è il pastore chiamato a proteggere il suo gregge dalle fiere in agguato che potrebbero sbranarlo. Ma cosa accade quando il pericolo viene dal pastore stesso, che usa il suo ruolo per i propri interessi? […] È così che sorgerà, in Israele, il profetismo, come voce critica del governo politico e religioso d’Israele. Più che dei veggenti che schiudono il futuro, i profeti sono la coscienza dei capi e del popolo. Il potere dà alla testa, se non ha freni.”

Davide, dopo aver scorto per caso Betsabea, moglie del suo valoroso capitano Uria, la fa chiamare e giace con lei. Non ci viene detto nulla sui desideri della donna. Successivamente, lei gli rivela di essere incinta, però Davide non vuole assumersi le proprie responsabilità. Solo dopo aver mandato alla morte in guerra Uria, la sposa. Ma il bambino morto rappresenta una storia d’amore nata in modo malato e senza futuro. Con un drammatico cambiamento, le logiche perverse del potere, che hanno sconvolto la vita di Betsabea, diventano le sue stesse logiche. Abile manipolatrice negli intrighi di corte, indirizza il proprio figlio Salomone, che non è il legittimo erede al trono, alla successione della corona. Davide, invece, diventa vittima del suo stesso crimine, con l’incapacità di costruire relazioni affettive con le donne e dei figli che si sbraneranno tra di loro.

“A crimine commesso, sarà il profeta a mettere il re di fronte alla gravità delle sue azioni, con la parabola della pecorella (2Sam 12): racconto perfetto per l’effetto che esso produce nel re; meno perfetto sul piano del contenuto: nel giudizio di Natan, lo stupro di Davide è equiparato ad un furto. Nel denunciare l’ingiustizia, la parabola fa emergere l’immaginario patriarcale che vede le donne proprietà maschile e legge lo stupro come sua violazione piuttosto che violenza contro la persona.”

Anche con Susanna delle persone di potere, due giudici, usano il proprio ruolo per ottenere i favori della giovane donna e, quando questi vengono negati, si vendicano accusandola ingiustamente. Susanna si muove in spazi chiusi, come le donne onorate dovevamo fare. Ma per le donne, ieri come oggi, il pericolo viene perlopiù dall’interno: i due giudici, infatti, sono frequentatori della casa. Dopo averla spiata di continuo, le chiedono dei favori sessuali sotto la minaccia, nel caso non acconsenta, di denunciarla di adulterio, dichiarando di averla vista insieme a un giovane. Susanna si rifiuta e, dopo il processo, viene condannata a morte per adulterio.

“Anche se il racconto della violenza è più disteso, rispetto a quello di Davide e Betsabea, tanti sono i bianchi del testo. Il più evidente riguarda l’amorevole marito, giudice autorevole nella città, che non agisce in nessun modo per difendere la sua fedele compagna. La vittima, processata e condannata a morte, viene trasformata in colpevole. Niente di nuovo sotto al sole: quanti processi di stupro sono diventati processi alla morale della donna – «è lei che li ha provocati con atteggiamenti e vestiti succinti»; «che ci faceva a quell’ora, in quel posto»?”

Ancora una volta, è la voce profetica a smascherare il delitto, ristabilendo la giustizia. Daniele chiede un’indagine e i due giudici, interrogati separatamente, offrono versioni discordanti. Il verdetto è ribaltato grazie all’occhio penetrante del profeta.

“Le due storie di violenza sulle donne hanno come specifico il rapporto tra potere istituzionale e violenza e sono raccontate per suggerire che liberare le donne dal patriarcato significa anche riformare le istituzioni politiche e religiose. Il patriarcato è legione. Contamina anche le vittime e rende vittime persino i carnefici. Attraversa ogni aspetto dell’esistenza e contagia le istituzioni, proprio perché ha a che fare con il potere. La violenza sulle donne va affrontata, dunque, anche negli spazi istituzionali, come scuole, chiese o tribunali, mettendo in atto quegli anticorpi che impediscano di esercitare un potere fuori controllo.”